venerdì 21 ottobre 2016

L’opera Jenüfa arriva al Teatro Massimo di Palermo in Formiche 21 ottobre



L’opera Jenüfa arriva al Teatro Massimo di Palermo
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L’opera Jenüfa arriva al Teatro Massimo di Palermo
Jenüfa di Leoš Janácek è in scena al Teatro Massimo di Palermo dal 23 ottobre al 2 novembre in coproduzione con il Teatro di Anversa. Si tratta di una delle più importanti opere del Novecento. Di solito Jenüfa, che debuttò a Brno in Moravia nel 1904 ma giunse in Italia solamente decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale, viene  presentata come il drammone verista da cui è tratta. In un villaggio della Moravia all’inizio del Novecento, la bella Jenüfafigliastra della Sacrestana, è corteggiata dall’aitante Steva, chi, dopo averla messa incinta, l’abbandona. Ne è innamorato (e continua ad esserlo, pur dopo essere messo a conoscenza dello stato della ragazza), il fratellastro di Steva, Laça. Per far sì che Laça non desista da propositi matrimoniali, la Sacrestana fa morire il neonato esponendolo al freddo. L’infanticidio viene scoperto proprio durante la festa di nozze tra Jenüfa e Laça, il quale si stringe ancora di più alla moglie, aiutandola a cercare speranza e riscatto, nonostante la riprovazione della società che li circonda.
Per Leoš Janácek, autore tanto del testo quanto della musica, Jenüfa rappresentò, a circa 50 anni d’età, l’opportunità di scavare nella complessità dell’animo umano e di innovare profondamente nella scrittura musicale. Furono necessari dodici anni (e l’entusiasmo dell’intellettuale tedesco Max Brod) perché da un teatro di provincia, quello di Brno, il lavoro raggiungesse l’opera nazionale di Praga e, quindi, i maggiori palcoscenici tedeschi e Londra. Solo dopo fu considerato uno dei maggiori capolavori del Novecento.
Scava nell’animo umano principalmente entrando nella psiche più profonda dei tre protagonisti (la Sacrestana, Jenüfa e Laça); Steva è un immaturo gaglioffo e la borghesia del villaggio (dal sindaco al prete) un contrappunto di uomini e donne piccoli piccoli.  Lo fa presentando in scena ciò che nessuno (neanche del più granguignolesco verismo italiano) portando sul palcoscenico il dramma di una ragazza madre e della matrigna (la Sacrestana) che più desidera il suo bene. La soluzione è nella trascendenza: lo si avverte nello struggente Salve Regina del secondo atto e ancor più nel sorprendente grande arioso finale.
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Tanto più sorprendente in quanto nei 90 minuti precedenti non c’è stata né un’aria né un duetto né un concertato. Il libretto è in prosa e i versi e la scrittura musicale sono un mosaico  di frammenti emotivi, spesso contraddittori, che si scompongono e ricompongono in continuazione, fondendosi con il parlato in quanto ogni nota ed ogni registro è plasmato sulla parola.
A Palermo da domenica si vedrà in prima nazionale nell’interpretazione di Robert Carsen in un allestimento di ambientazione contemporanea. In una scena spoglia, dove il suolo in terra battuta, ci parla con immediatezza della campagna in cui si svolge l’azione, dominano le grandi finestre e porte che fisicamente rappresentano il villaggio e che vengono spostate a comporre i vari ambienti dell’opera. Partendo dal fatto che la gravidanza di Jenüfa viene tenuta nascosta a tutti per mesi perché la matrigna rinchiude la ragazza in casa, Carsen ci mostra il voyeurismo degli abitanti: dalle finestre si vedono occhi che scrutano, dalle porte si affacciano curiosi, non esistono pareti solide ma solo aperture che possono da un momento all’altro cedere alla pressione esterna e rendere pubblico ciò che era privato.
Un’opera corale, in cui ai protagonisti si affiancano una moltitudine di personaggi secondari ma non per questo meno importanti, dal sindaco con moglie e figlia fino al pastorello analfabeta, che nella regia di Carsen ricevono ciascuno la giusta attenzione. Elemento fondamentale è poi l’acqua: l’acqua gelida del fiume in cui Kostelnička va a gettare il bambino per permettere alla figliastra di sfuggire alla vergogna e alla riprovazione del villaggio e consentirle di sposare Laca che ne è innamorato, il ghiaccio che restituirà il cadaverino proprio durante le nozze di Jenüfa, ma anche la pioggia dorata redentrice che in ultimo abbraccia la coppia dopo tante sofferenze: il ghiaccio si è definitivamente sciolto, l’acqua è di nuovo simbolo di vita, della nuova vita di Laca e Jenüfa.
La novità della composizione sta nello stile musicale, che oltrepassa il modello del dramma wagneriano dei Leitmotive: infatti non troviamo più lo sviluppo di temi conduttori ma elaborazioni di semplici cellule, che ritornano all’interno dell’opera con delle continue variazioni, mai uguali. “Janácek studiò le inflessioni della lingua ceca, ricercandone la musicalità. Il nuovo linguaggio musicale che ne deriva è funzionale alla drammaturgia, poiché permette di mettere in luce la sonorità della sua lingua natia e lo spessore psicologico dei personaggi che, attraverso le inflessioni del parlato, esternano sentimenti e mutamenti di stati d’animo. L’orchestra, assecondando le cadenze del parlato e sostenendo le voci, non fa da sfondo ai dialoghi ma diviene protagonista”, come scrive Silvia Augello nella sua introduzione all’opera.“Jenüfa è un’opera sospinta dal vento furioso di una musica tutta figurazioni discendenti o ruotanti su se stesse in modo implacabile, come se la musica mimasse lo stesso flusso inarrestabile della vita”, scrive Franco Pulcini nel programma di sala. Janácek abbandona la citazione diretta delle canzoni popolari e reinventa il folclore. Il cast include, nei ruoli principali, Ángeles Blancas, Gulín Andrea Danková, Peter Berger e Martin Šrejma.
21/10/2016

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