sabato 22 ottobre 2016

"Fidelio" inaugura la stagione di Santa Cecilia in Il Sussidiario 23 ottobre

OPERA/ "Fidelio" inaugura la stagione di Santa Cecilia

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foto di Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello  foto di Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello
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OPERA/ "Fidelio" inaugura la stagione di Santa Cecilia

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In questi ultimi anni si sono viste diverse edizioni di  Fidelio. Barenboim la ha portata alla Scala per il Sant’Ambrogio 2014, Mehta per quella del Maggio Musicale 2015. Abbato ha inauguratola stagione di Ferrara nel 2008. Si è vista a Roma diretta da Homburg nel 2004. Per non citare che gli spettacoli recensiti dal vostro  chroniqueur.
Il 20 ottobre Fidelio ha inaugurato la stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia una stagione ricca ed interessante sotto numerosi profili. Unica opera di Ludwig van Beethoven, Fidelio è basata su una pièce à sauvatage (dramma teatrale con lieto fine  in quanto gli innocenti vengono salvati dell’inatteso arrivo dei ‘buoni’ loro alleati), genere consueto, specialmente in Francia, nel periodo tra rivoluzione francese e il Direttorio.
Racconta di Leonore che nella Spagna settecentesca si traveste da ragazzo per farsi assumere come secondino dal carceriere Rocco al fine di salvare il proprio marito Florestano, preda di un crudele signorotto di provincia, Pizzarro, di cui Florestano ha denunciato i delitti.
Le belle fattezze di Leonore-Fidelio attirano l’attenzione della figlia di Rocco (il direttore del carcere), Marzelline, facendone inalberare il fidanzato Jaquino.
Il salvataggio arriva mentre Pizzarro sta per uccidere Florestano sia perché Leonore estrae una pistola dal corsetto sia grazie al provvidenziale arrivo del messo del Re. Vicenda banale – già messa in musica da altri prima che Beethoven la prendesse come spunto per la sua sola opera per il teatro (ne aveva tentato un’altra senza portarla a compimento). Per Beethoven è stato un lavoro travagliato, durato dodici anni che ha portato a tre edizioni differenti (in Italia la prima versione è stata messa  in scena nel 2006 a Bologna ma non ha suscitato grandi entusiasmi). I dettagli della complessa elaborazione del lavoro si hanno nella lettura del bel saggio di Piero Buscaroli.sul compositore.
E’ un’opera ambigua sia per il genere scelto, il Singspiel in cui parti cantate si alternano con numeri musicali (un genere tipico di commedie più che di drammi come dimostrato dal fatto che fiorirà nella opéra-comique francese) sia perché sempre in bilico tra la pièce di equivoci mozartiana (la prima parte) sia dal grande lavoro epico ed etico (la seconda parte). Lo spartiacque è la grande aria di Leonore Abscheulichee, wo elist du hin? nel primo atto.
Fidelio non ha condotto ad un nuovo stile nell’opera tedesca. Ciò sarebbe avvenuto qualche anno più tardi con “Il franco tiratore” di Weber ed “Il vampiro” di Marschner . E’ un tentativo, colmo di difetti tecnici (pur nella versione  definitiva) eppur diventato un capolavoro e giustamente ritenuto tale.
La sua ambiguità è stilistica. Il primo atto è denso di momenti mozartiani ma non si può pensare che Beethoven sia un epigono di Mozart. Dopo la  grande aria di Leonore il tono è differente ma non siamo nell’opera romantica tedesca, piuttosto nella grande opera imperiale di Gaspare Spontini che utilizzò tematiche  analoghe sia alla corte francese che soprattutto in quella prussiana.
Per decenni, specialmente in Italia, le letture sceniche di Fidelio hanno presentato interpretazioni che spostavano l’attenzione dal tema dell’eroismo di Leonore alimentato da Die eheliche Liebe, “l’amore coniugale” – all’esaltazione della libertà contro la tirannide. Nè Nicolas Bouilly, autore della pièce à sauvetage, nè J.F. Sonnleithner e G.F. Treitschke, a cui si deve l’insulso libretto, avevano lo spirito di Vittorio Alfieri. Né, tanto meno, Beethoven, peraltro sotto il profilo politico ‘un vero conservatore’, intendeva comporre un’opera contro il potere costituito. Nell’opera il “salvataggio”, compiuto da Leonore, viene ratificato da un “dittatore benevolo”; la punizione è per un tirannello sadico di provincia che ha trasgredito, per l’appunto, le regole della imperiale benevolenza. Lo documenta Piero Buscaroli nel già citato  monumentale “Beethoven” (1400 pagine)  e l’inteso carteggio che accompagnò la tormentata lavorazione dell’opera.
In questa lunga parte  introduttiva ho riprodotto considerazioni fatte a proposito di altre produzioni di Fidelioquali alcune di quelle citate in apertura di questa nota. Mi è parso necessario per commentare questa edizione curata da Antonio Pappano ed in forma di concerto.
In primo luogo avendo optato per la forma di concerto (e non per una versione semi scenica o una mise en éspace nella Sala Santa Cecilia è molto arduo una realizzazione scenica) mi sarei aspettato un’edizione integrale, con i dialoghi (anche se a volte banali) quali scritti dai librettisti.
A mio avviso, in Fidelio i dialoghi e la pause hanno un’eminente funzione musicale anche se non così pregnante come nel 4’33’’ di John Cage o nelle Pause del Silenzio di Gian Francesco Malipiero. Una versione in forma di concerto sarebbe stata il mezzo ideale per portare in Italia il Fidelio filologico come concepito da Beethoven quale si mette in scena dei maggiori teatri mondiali non solo in Italia.
Pappano, che conosco del 1992 quando frequentavo spesso Bruxelles, dove lui lavorava e con Mortier ed aveva trasformato La Monnaie da teatro di provincia a centro di innovazione ed elaborazione, ha un forte temperamento drammatico e plasma di teatralità anche una versione da concerto dove tutti sono in abito da sera (anche se alcuni cantanti accennano alla recitazione).
Tiene un ottimo equilibrio tra i due elementi di fondo: l’amore coniugale e l’eroismo di Leonore. E’ naturalmente più a suo agio nella seconda parte che nella prima; il suo cuore è molto latino e mal si adatta ad una commedia quasi mozartiana tra l’amore della figlia del carceriere per il nuovo garzone giunto ’in ditta’ Dell’afflato cristiano Pappano parla in conferenza stampa ma non si avvertiva affatto alla ‘prima’ del 20 ottobre.
Ottimo come sempre coro diretto da Circo Visco. Palpitante e commovente nella scena dell’ora di libertà al solo nel primo atto e grandioso negli inni di gioia con cui si chiude l’opera.
Venendo alle voci, i problemi sono con i due protagonisti. Simon O’Neill ha visto tempi migliori, esagera con il registro alto e, da astuto professionista, scansa  i passaggi più difficili. Non so  se Rachel Willis-Sørensen sarà mai in grado di interpretare il ruolo di Leonore; per ora non lo è ancora in quanto è un soprano lirico leggero che in momenti come l’aria  Abscheulichee, wo elist du hin? sforza la voce senza grandi esiti. Per il ruolo di Leonore ci vuole a mio avviso un soprano che ha cantato, con successo, almeno due delle tre Brünnhilde delle tetralogia wagneriana.
Ottimi invece Amanda Forsithe (Marzelline), Maximilian Schmitt (Jaquino), Sebastian Holececk (Don Pizzarro), Günter Grossböck (Rocco) e Julian Kim ( Don Fernando) .
Applausi e successo.


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