Quanto è
difficile misurare uno sviluppo sempre più digitale
L’Istat ha
rivisto dunque i dati di crescita: il 2014 si è chiuso con il segno più,
passando da -0,3% a +0,1%. Inversione di tendenza netta, considerato come la nostra
economia venisse da due anni di pesanti cali del Prodotto interno lordo (-2,8%
nel 2012 e -1,7% nel 2013). Passare dal -0,3% al +0,1% ha un mero significato
statistico: vuol dire che nel 2014 l’Italia non era più tecnicamente in
recessione e che da allora, non dal 2015, è iniziata una piccola e fragile
ripresa ancora non diventata però una crescita solida. Ma lo 'scarto' rilevato
porta a una riflessione sulla misurazione.
Il Pil stima il
risultato finale dell’attività produttiva dei residenti di un Paese in un dato
periodo. Si è guadagnato una posizione di preminenza circa la sua capacità di
esprimere o simboleggiare il benessere di una collettività nazionale e il suo
livello di sviluppo o progresso. Il Prodotto interno lordo può essere stimato
sia dal lato degli acquirenti (domanda) sia da quello dei produttori (offerta).
Ormai quasi tutti i Paesi seguono i medesimi metodi di stima: rilevazioni per
settori e comparti, pubblicazione di una stima rapida e di una più approfondita
dopo alcune settimane, e ricostruzioni storiche dopo qualche anno. C’è,
tuttavia, una forte insoddisfazione a riguardo dei metodi di stima. Le
correzioni statistiche a posteriori rivelano anzitutto come sia sempre più
difficile misurare la 'ricchezza delle Nazioni', giacché aumenta la fetta della
torta costituita dai servizi e dall’economia digitale. È più facile, cioè,
contare imballaggi – come si narra facesse l’ex governatore della Fed, Alan
Greenspan, per interpretare il ciclo economico e magari anticiparne i corsi –
che pesare transazioni digitali e servizi immateriali. Un problema comune a
tutti gli economisti e statistici, non solo a quelli italiani. Il Prodotto
interno lordo, in secondo luogo, non include alcuni elementi essenziali per
valutare il benessere di un Paese e della sua società. Ignora ad esempio il
valore del lavoro casalingo e volontario, la distribuzione del reddito, lo
sostenibilità ambientale. Per questo motivo, si sta traghettando verso
indicatori diversi, come quello del Benessere equo e sostenibile (Bes). In
Italia un apposito gruppo Cnel-Istat ne ha messo a punto la metodologia e dal
prossimo anno affiancherà ufficialmente le stime del Pil e sarà utilizzato per
la politica economica. Si disporrà dunque di un indicatore decisamente più
ricco e completo.
Giuseppe
Pennisi
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