lunedì 5 settembre 2016

La distanza tra ricchi e poveri si conferma a livelli siderali Così andiamo verso il disastro in Avvenire 6 settembre



La distanza tra ricchi e poveri si conferma a livelli siderali Così andiamo verso il disastro
GIUSEPPE PENNISI
Negli ultimi anni, le ineguaglianze, a livello mondiale, sono diminuite o cresciute? Uno studio recente dell’Institute of Policy Studies di Washington (un ente privato di ricerca, sostenuto dai sindacati americani) può indurre a pensare che la situazione mondiale stia gradualmente migliorando: dal 2001 al 2011, ad esempio, la proporzione dei 'poveri' (persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno) è passata dal 29% al 15% della popolazione del pianeta, la quota di coloro che hanno bassi redditi è cresciuta dal 50 al 56%, il ceto medio si è allargato (dal 7 al 13% della popolazione globale) così come la popolazione con un redditomedio-alto (dal 7% al 9%) e quella con redditi alti (dal 6 al 7%). Il quadro è differente se si guarda alla ricchezza invece che al reddito: qui le distanze restano siderali. Da un lato i poveri (cioè le persone che dispongono di uno stock di capitale inferiore a 10mila dollari) sono il 71% della popolazione mondiale, e hanno solo il 3% della ricchezza globale. Il ceto medio, che ha tra i 10mila e i 100mila dollari di patrimonio, rappresenta il 21% della popolazione e ha il 12,5% delle risorse. I ricchi (che hanno tra i 100mila dollari e il milione) sono invece il 7,4% della popolazione e hanno il 39,4% della ricchezza. I super ricchi, che hanno più di un milione di dollari, sono pochissimi (solo lo 0,7% della popolazione mondiale) ma hanno il 45,2% della ricchezza. Il 46% di questi ultimi è residente degli Usa, il 3% dell’Italia. Un’estrapolazione al 2015 conferma queste tendenze. Insomma, pur se i poverissimi stanno diminuendo, le distanze tra ceto medio, da un lato, ed alte ed altissime ricchezze, dall’altro, si stanno esacerbando.
Robert J.Shiller, uno dei pochi economisti che anticiparono la crisi finanziaria del 2007-2008, ha preso carta e penna per scrivere un commento sul New York Times del 30 agosto (e sulle cento testate ad esso associate) per avvertire che le ineguaglianze di oggi possono diventare la catastrofe di domani. Shiller non fa riferimento ai dati Ips ma ad un libro in uscita per la Princeton University Press ( Taxing the Rich: a History of Fiscal Fairness in the United States and Europe) di Kenneth Sheve, economista di Stanford, e David Stasavage della New York University, in cui si esaminano due secoli di politiche tributarie in venti Paesi. I dati smentiscono l’ipotesi secondo cui l’imposizione su redditi elevati e ricchezza aumenta quando crescono le diseguaglianze ed il malessere economico: aumenta , invece, prevalentemente in tempi di guerra in quanto «il fisco è mirato alla sopravvivenza nazionale non alla correzione delle diseguaglianze ». Le democrazie non hanno mai sostenuto, in modo coerente, politiche redistributive, documenta lo studio aggiungendo che gli elettori non votano necessariamente secondo i loro interessi. Infatti man mano che il diritto di voto è stato ampliato a ceti a basso reddito e privi di proprietà, le politiche tributarie nei confronti delle diseguaglianze non sono diventate più progressive.
Con altri nove economisti, Shiller ha cercato di delineare il futuro a lungo termine nello studio In 100 Years: Leading Economists Predict the Future (cioè 'Fra cent’anni: i più autorevoli economisti prevedono il futuro'). Nessuno dei dieci ha espresso ottimismo negli scenari delineati: le diseguaglianze non verranno corrette perché nessuno Stato sta elaborando politiche per contrastarle. Secondo Shiller, l’unica strada sarebbe una maggiore consapevolezza dei pericoli di una società sempre più divisa e programmi che amplino le opportunità di lavoro e di assicurazioni sociali.
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Secondo l’economista Shiller in nessuna democrazia la politica ha agito con piani coerenti per ridurre la diseguaglianza
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