La distanza
tra ricchi e poveri si conferma a livelli siderali Così andiamo verso il
disastro
GIUSEPPE
PENNISI
Negli ultimi
anni, le ineguaglianze, a livello mondiale, sono diminuite o cresciute? Uno
studio recente dell’Institute of Policy Studies di Washington (un ente privato
di ricerca, sostenuto dai sindacati americani) può indurre a pensare che la
situazione mondiale stia gradualmente migliorando: dal 2001 al 2011, ad
esempio, la proporzione dei 'poveri' (persone costrette a vivere con meno di un
dollaro al giorno) è passata dal 29% al 15% della popolazione del pianeta, la
quota di coloro che hanno bassi redditi è cresciuta dal 50 al 56%, il ceto
medio si è allargato (dal 7 al 13% della popolazione globale) così come la
popolazione con un redditomedio-alto (dal 7% al 9%) e quella con redditi alti
(dal 6 al 7%). Il quadro è differente se si guarda alla ricchezza invece che al
reddito: qui le distanze restano siderali. Da un lato i poveri (cioè le persone
che dispongono di uno stock di capitale inferiore a 10mila dollari) sono il 71%
della popolazione mondiale, e hanno solo il 3% della ricchezza globale. Il ceto
medio, che ha tra i 10mila e i 100mila dollari di patrimonio, rappresenta il
21% della popolazione e ha il 12,5% delle risorse. I ricchi (che hanno tra i
100mila dollari e il milione) sono invece il 7,4% della popolazione e hanno il
39,4% della ricchezza. I super ricchi, che hanno più di un milione di dollari,
sono pochissimi (solo lo 0,7% della popolazione mondiale) ma hanno il 45,2%
della ricchezza. Il 46% di questi ultimi è residente degli Usa, il 3%
dell’Italia. Un’estrapolazione al 2015 conferma queste tendenze. Insomma, pur
se i poverissimi stanno diminuendo, le distanze tra ceto medio, da un lato, ed
alte ed altissime ricchezze, dall’altro, si stanno esacerbando.
Robert
J.Shiller, uno dei pochi economisti che anticiparono la crisi finanziaria del
2007-2008, ha preso carta e penna per scrivere un commento sul New York Times
del 30 agosto (e sulle cento testate ad esso associate) per avvertire che le
ineguaglianze di oggi possono diventare la catastrofe di domani. Shiller non fa
riferimento ai dati Ips ma ad un libro in uscita per la Princeton University
Press ( Taxing the Rich: a History of Fiscal Fairness in the United States
and Europe) di Kenneth Sheve, economista di Stanford, e David Stasavage
della New York University, in cui si esaminano due secoli di politiche
tributarie in venti Paesi. I dati smentiscono l’ipotesi secondo cui
l’imposizione su redditi elevati e ricchezza aumenta quando crescono le
diseguaglianze ed il malessere economico: aumenta , invece, prevalentemente in
tempi di guerra in quanto «il fisco è mirato alla sopravvivenza nazionale non
alla correzione delle diseguaglianze ». Le democrazie non hanno mai sostenuto,
in modo coerente, politiche redistributive, documenta lo studio aggiungendo che
gli elettori non votano necessariamente secondo i loro interessi. Infatti man
mano che il diritto di voto è stato ampliato a ceti a basso reddito e privi di
proprietà, le politiche tributarie nei confronti delle diseguaglianze non sono
diventate più progressive.
Con altri
nove economisti, Shiller ha cercato di delineare il futuro a lungo termine
nello studio In 100 Years: Leading Economists Predict the Future (cioè
'Fra cent’anni: i più autorevoli economisti prevedono il futuro'). Nessuno dei
dieci ha espresso ottimismo negli scenari delineati: le diseguaglianze non
verranno corrette perché nessuno Stato sta elaborando politiche per
contrastarle. Secondo Shiller, l’unica strada sarebbe una maggiore
consapevolezza dei pericoli di una società sempre più divisa e programmi che
amplino le opportunità di lavoro e di assicurazioni sociali.
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Secondo l’economista Shiller in
nessuna democrazia la politica ha agito con piani coerenti per ridurre la
diseguaglianza
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