Cosa penso delle Olimpiadi a
Roma
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L'opinione
di Giuseppe Pennisi
Premetto di
non essere iscritto al Movimento Cinque Stelle (M5S), anche se riconosco la
novità che il M5S ha portato nel quadro politico italiano con la concezione,
molto americana, di democrazia partecipata dal basso. Ho vissuto in America
quindici anni e, quindi, vi vedo aspetti che assomigliano alla partecipazione
politica negli Usa.
Premetto
altresì di non avere formulato un giudizio sull’amministrazione comunale di
Roma. Governare la capitale d’Italia è un’impresa titanica come lo era quella
di governare New York City negli anni settanta quando – si diceva negli Stati
Uniti – per candidarsi a sindaco era necessaria una forte vocazione al
suicidio.
Fatte queste
premesse, credo fermamente che se la prima decisione di chi ha l’onere di
governare la città è quella di dire un forte e chiaro ‘NO’ al progetto di
candidare Roma alle Olimpiadi 2024, è una decisione saggia e giusta. Ho
trattato di alcuni aspetti di merito su Formiche.net nel giugno
scorso e su Avvenire alcune settimane fa.
E’ utile
ricordare che il New York Times del primo agosto ha salutato
l’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro con un lungo editoriale in cui si
chiedeva perché città e Stati corteggiano così ardentemente le difficoltà
organizzative, i costi e i rischi di sicurezza che comporta ospitare i Giochi.
Ci sono voluti trent’anni perché Montreal saldasse gli impegni finanziari contratti
per le Olimpiadi del 1976; in quel lasso di tempo lo stadio costruito per
l’occasione ha preso il nomignolo di The Big Owe (il Grande Debito),
che, peraltro, mantiene ancora nel gergo colloquiale degli abitanti della
capitale del Quebec. Gran parte delle infrastrutture per i Giochi di Atene
(considerati, in un pregevole saggio di quattro economisti greci, come la
goccia che ha fatto traboccare il vaso e innescato la crisi degli ultimi anni)
sono rimaste inutilizzate sino a pochi mesi fa quando l’ormai decrepito
villaggio olimpico, considerato «un cumulo di rovine», è stato adibito ad
alloggio temporaneo per circa 3.000 migranti (i quali protestano per le
condizioni di degrado). Il Presidente dello Stato di Rio ha indicato la
possibilità di un “fallimento tecnico”: ciò implicherebbe che i lavoratori
sarebbero pagati e alcuni servizi essenziali resterebbero in funzione, ma alle
imprese coinvolte nei Giochi verrebbero offerti concordati (con uno sconto del
70%-80% rispetto a quanto pattuito inizialmente).
Si vuole che
anche Roma ricorra ad un ‘fallimento tecnico’, riducendo al minimo i servizi
essenziali (trasporti, acqua, rifiuti), addossandone la responsabilità a chi al
governo della città?
Può sembrare
restrittivo esaminare le Olimpiadi con il metro dell’analisi costi
benefici, ma ci sono Stati e Città che devono utilizzarlo in questo modo poiché
hanno i conti in difficoltà e servizi pubblici inadeguati. C’è una vasta
letteratura, per indurre a ritenere che sotto il profilo economico e
finanziario, ospitare i Giochi sia una perdita netta per la città e lo Stato
che decidono di farlo. Basta scorrere il Social Science Research Network (la
più vasta biblioteca telematica di economia e finanza) per leggere circa 400
saggi su questo argomento. La conclusione generale è che, in termini
economico-finanziari, la spesa non vale l’impresa,
Ci sono
stati Giochi i cui benefici sono difficilmente quantificabili. Ad esempio,
quelli di Roma nel 1960 furono uno segni del “miracolo economico” (che si
afflosciò pochi anni dopo) e consentirono all’Italia di entrare in quello che
allora veniva chiamato il consesso delle grandi potenze. Le Olimpiadi di Soci
del 2014 (che costarono alla Federazione Russa 51 miliardi di dollari) e quelle
di Pechino del 2008 (di cui non è stato mai rivelato il costo finanziario)
ebbero una funzione analoga: un diploma di valore internazionale (anche se i
Giochi invernali di Soci mostrarono molte ombre e non fecero necessariamente
brillante l’immagine di Putin all’estero).
Oggi
l’Italia non necessita di entrare tra le grandi potenze e Roma tra le grandi
capitali. Deveo, però, essere il regola con i patti sottoscritti: per legge
costituzionale rinforzata, si sarebbe dovuto raggiungere l’equilibrio
strutturale di bilancio nel 2014, data che oggi sembra rimandata sine die,
avremmo dovuto portare il debito pubblico da poco più del 100% del Pil nel 1992
al 60% nel 2010 (o giù di lì) e stiamo veleggiando verso il 135% del Pil. Il
tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato in dieci anni, e quello di disoccupazione
giovanile giunto a livelli da Maghreb. In questo contesto, vagheggiare
Olimpiadi o si è sconsiderati in buona fede o si hanno secondi fini. Tranne
ovviamente che i costi (compresi quelli di sicurezza, di organizzazione e di
miglioramento delle infrastrutture, ad iniziare da trasporti, acqua, rifiuti)
non vengano presi interamente in carico da chi i Giochi tanto li vuole.
Put your money where your heart is. ‘Metti i
tuoi soldi, dove è il tuo cuore’, come dice un proverbio americano. In tal
caso, il Comitato Olimpico dovrebbe versare alcuni milioni di dollari (se mi si
chiede, farò i conteggi) nelle casse del Campidoglio, come anticipo per i
lavori da farsi.
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