Perché gli americani lavorano più degli europei
Il dibattito è stato innescato da un saggio
dell’economista Edward Prescott pubblicato nel 2004, lo stesso anno in cui gli
è stato conferito il Premio Nobel. Sulla base di un’elaborata analisi
statistica, Prescott documentava che mediamente un americano lavorava il 50 per
cento di più di un europeo (in termini di ore effettivamente lavorate in 12
mesi). Se – come hanno sempre ritenuto gli economisti “classici” – c’è un nesso
tra lavoro e crescita, è questa una ragione per cui a partire dagli anni
Ottanta, l’Europa arranca e l’America galoppa. Alberto Alesina e Bruce
Sacerdote hanno ricordato che non è sempre stato così: all’inizio degli anni
Settanta le ore effettivamente lavorate degli occupati americani ed europei si
equivalevano ma da allora è iniziato uno strisciante divario che ha portato
alla situazione documentata da Prescott. Prima che scoppiasse la crisi
finanziaria e rallentasse l’economia, un contributo importante è venuto dall’Organizzazione
internazione del lavoro (Ilo, International Labor Organization) i cui rapporti
periodici sugli indicatori chiave del mercato del lavoro affermano che gli
stakanovisti non sono gli americani (con le loro 1.824 ore l’anno
effettivamente lavorate, mediamente, da ciascun occupato) ma i coreani del sud
(con 2.380 ore, ossia 48 ore la settimana tenendo conto di due settimane di
vacanza). In Europa, poi, gli sfaticati (per così dire) non sono gli spagnoli
con le loro mediamente 1.799 ore, più delle 1.669 dei britannici, per non
parlare delle 1.450 ore circa dei francesi e degli italiani.
Gli Stati Uniti galoppano non solo perché
ciascuno di loro lavora più ore degli europei ma perché la loro produttività
oraria (output per ora lavorata) è maggiore di quella rilevata nel Vecchio
Continente. La produttività oraria dei francesi è quasi pari a quella degli
americani (quella degli italiani è il 70 per cento di quella Usa). La
determinante principale sono i congedi annuali per ferie, per malattia o altro
e le festività ufficiali. Il dibattito ha gradualmente interessato più i
sociologici del lavoro che gli economisti. Nello scavare nel differenziale ci
si è chiesto sempre di più se gli europei non dessero maggiore valore ad altri
aspetti della qualità della vita (il tempo libero, la famiglia, le attività
culturali) rispetto al lavoro.
Il tema torna d’attualità ora che dalla crisi si spera di uscire: nell’area
dell’euro il tasso di disoccupazione è pari a poco più del 10 per cento delle
forze di lavoro, negli Usa al 5 per cento. Il Pil degli Stati Uniti cresce
circa al 3 per cento l’anno, quello dell’area dell’euro ristagna. Dato che una
maggiore crescita del Pil è universalmente ritenuta come ingrediente per
ridurre il flagello della disoccupazione, non è utile tornare ad indagare sulle
differenze di ore di lavoro tra i due lati dell’Atlantico?
Lo hanno fatto in un documento di Linda Bell
(Istituto tedesco di Studi sul Lavoro) e Richard Freeman (Università di
Harvard) tramite un’indagine empirica rigorosamente economica, ossia
amministrando questionari ad un campione di lavoratori tedeschi ed americani.
Le differenze in ore lavorate e impegno (quindi, produttività) e il loro
cambiamento negli ultimi 30 anni non risalgono a determinanti sociologiche ma a
come lo stato sociale (con i relativi ammortizzatori) si è esteso in Germania
(e nel resto d’Europa) mentre è rimasto minimo negli Usa. Negli Stati Uniti, in
breve, si lavorano più ore che in Europa perché si teme di finire sul lastrico
se si resta senza lavoro. Altra determinante è il prestigio sociale che gli
americani attribuiscono agli alti redditi da lavoro. Non è il caso di
riprendere questi temi nel delineare il futuro della normativa sul lavoro.
Un lavoro freschissimo di Alexander Bick (Arizona
State University), Bettina Bruggemann (NcMaster University) e Nicola
Fuchs-Schundeln (Goethe Univeistaat di Francoforte) – IZA Discussion Paper No.
10179 – utilizza i dati delle indagini nazionali sulle forze di lavoro dal 1983
al 2011 per esaminare le ore effettivamente lavorate per persona occupata a
livello aggregato per 18 Paesi europei e per gli Stati Uniti. In generale, gli
europei occupati lavorano su base annua il 19% di meno degli americani. Circa
la metà del differenziale deve attribuirsi a livelli d’istruzione ed a
normative nazionali su ferie e congedi. Dalla crisi non abbiamo appreso nulla.
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