FINANZA E POLITICA/ Le regole che frenano la crescita
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lunedì 12 settembre 2016
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Possiamo ricominciare a crescere
senza ridurre la camicia di ferro dei costi della regolamentazione su
individui, famiglie e imprese? Ne dubito. Da quindici anni esistono, in varie
forme, dipartimenti e uffici per la semplificazione, ma non se ne vedono
concretamente in risultati. Oltre una decina di anni fa, la Presidenza del
Consiglio ha iniziato uno studio sui costi della regolamentazione per le
imprese; sono stati ingaggiati consulenti, ma che io sappia il risultato (e il
rapporto) finale, ove conclusi, sono stati tenuti molto discreti. Inoltre,
quanto più si tenta di semplificare la regolazione nazionale, tanto più
prolifera quella europea, un vero e proprio Leviathan che vomita regolamenti,
direttive e circolari di fuoco.
Prendiamo alcuni esempi. La
regolamentazione per dar vita al mercato unico europeo (e farlo funzionare)
ammonta a 150.000-200.000 pagine - ancora più carta è stata necessaria per la
moneta unica e ammennicoli vari; il costo dei regolamenti Ue su cittadini e
imprese è variamente stimato tra l’1% e il 3,5% del Pil complessivo dell’Europa
a 27; lo documenta Alan Hardacre in un saggio pubblicato dall’Eipa (l’istituto
europeo di formazione per la pubblica amministrazione, un ente che non inforca
certo occhiali malevoli nei confronti delle istituzioni europee - che lo
finanziano). Un vero e proprio Himalaya di regole spesso tanto complicate e
tanto contraddittorie che, per superarle, non resta che eluderle.
In Germania, quando nel 2005 venne
formata la Grande Coalizione presieduta dal Cancelliere Angela Merkel,
unicamente gli obblighi di fornire informazioni alla burocrazia federale
(escludendo quella dei Länder) toccavano 40 miliardi di euro l’anno (in base a
una stima effettuata su 7.000 dei 10.500 obblighi d’informazione individuati
dal Consiglio federale per il Controllo della regolazione); un rapporto di
cinque anni fa del Consiglio in questione afferma che si tratta di una stima
per difetto, ma che il Governo federale si è impegnato a ridurre costi delle
regole su cittadini e imprese del 25% e che, di riffa o di raffa, lo farà (la
determinazione teutonica è nota, anzi notoria).
I tedeschi hanno preso a modello
l’Olanda che, secondo il più recente International Regulatory Reform Report,
in libreria in questi giorni, «è diventata un modello e un leader
internazionale in materia di riforma della regolamentazione». L’obiettivo è
stato raggiunto a metà.
Anche la Francia (notoriamente
statalista e interventista) ci sta dando a fondo: dal 2006, afferma un saggio
di Frédéric Bouder, si possono avere in otto giorni tutte le autorizzazioni per
far decollare un’impresa. In Francia, come in America dall’epoca del primo
Governo Reagan (misura che nessun Presidente o Congresso successivo ha
modificato), tutti i disegni e le proposte di legge dovranno essere corredati
non solo di una relazione tecnica relativa all’impatto sul bilancio dello Stato
(analoga a quanto predisposto in Italia con l’ausilio della Ragioneria Generale
dello Stato), ma anche da un’analisi costi-benefici (o costi-efficacia)
rigorosa.
Queste e altre informazioni, dati e
analisi si raccolgono nella ricca documentazione presentata alla International
Regulatory Reform Conference diventata un evento annuale a cui partecipano (su
inviti individuali) regolatori e de-regolatori di tutto il mondo. In breve,
tutti (Governo, Parlamenti, individui, famiglie, imprese) si sentono
imbrigliati in una montagna ormai disincantata di regole grandi e piccole
spesso da loro stessi generate o proposte.
Ciascuna ha una sua giustificazione
puntuale (o la aveva quando Governi e Parlamenti oppure autorità di regolazione
le hanno varate). Tuttavia, sono adesso un freno allo sviluppo, specialmente
dei Paesi industriali a economia di mercato e più particolarmente
nell’iper-regolata Ue (dove regole comunitarie si sommano a quelle
internazionali e a quelle statali, a quelle regionali, a quelle provinciali, a
quelle comunali, a quelle delle comunità montane e via regolamentando). La
montagna disincantata spiega, in certa misura, perché da qualche anno siano i
Paesi in via di sviluppo e a basso reddito pro-capite (dove le regole sono
poche e poco osservate) a tirare la carretta dell’economia mondiale.
L’eccesso di regolazione in Europa
spiega, in certa misura, perché la crisi finanziaria scoppiata negli Usa ha
rallentato l’economia americana (meno regolata di quella Ue), ma ha portato la
recessione nel Vecchio continente.
Cosa fare? Un po’ tutti si
arrabattano a semplificare la regolazione e a frenare l’incontinenza di chi ne
propone sempre di aggiuntiva. L’Italia ha poche lezioni da offrire. È poco
credibile la cifra di 16 miliardi di euro pubblicizzata come costi di
informazione che gravano su cittadini e imprese (rispetto ai 40 miliardi,
limitati al Governo federale, computati in Germania).
Il regulatory budgetting è
stato intrapreso in modo sistematico in Gran Bretagna e già sperimentato con
successo negli Usa in alcuni settori (sanità, ambiente). Anche in Italia, c’è
qualche esempio (lo si è fatto ad esempio nel valutare la posizione Ue in
materia ambientale o nell’esaminare la revisione delle tax expenditures per le
elargizioni liberali per la cultura). Non lo abbiamo presentato, però, al resto
del mondo. Se non mostriamo agli altri le cose buone che facciamo, non
lamentiamoci di non essere trattati bene. Occorre soprattutto pensare alla
“sunset regulation” (ossia una legge costituzionale meglio se rinforzata; tutta
la normativa deve essere a tempo e decade se non varata di nuovo dagli organi
preposti) che il Governo in carica pare abbia in animo di varare. E via
discorrendo. Oggi sono in vigore regolamentazioni sulle carrozze a cavalli e i
lumi a petrolio.
Comprensibile che se si appartiene a
uno schieramento politico si tiri l’acqua alla propria cordata. In sedi
internazionali come l’Irrc, tuttavia, gli altri mostrano il punto di vista dei
Governi in carica, non i risultati (anche ove meritori) di chi è stato mandato
all’opposizione dagli elettori. Vecchi colleghi di Banca Mondiale, Fmi, Ocse e
Commissione europea non hanno risparmiato battutine di corridoio: “Ciascuno
a suo modo” (come Luigi Pirandello intitolò la sua commedia più bella, ma
meno rappresentata, poiché richiede 42 personaggi in scena).
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