Matteo
Renzi, il Ponte sullo Stretto e il rapporto costi-benefici
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Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Alla
fine degli Anni Settanta nelle vesti di dirigente di una divisione della Banca
mondiale, visitai la diga d’Inga; scrissi nell’albo degli ospiti: “Mi spiace di
avere bocciato il finanziamento di questa meraviglia ingegneristica anche se
sono ancora convinto che non è un investimento tale da reggere ad un’analisi
finanziaria ed economica”. La diga è un enorme complesso per portare
elettricità dalle vicinanze della capitale di quello che allora era chiamato
Zaire alla regione mineraria, lo Shaba. Aveva una capacità di produzione pari
al 30% dei consumi effettivi d’elettricità degli Usa nel 1950; un miracolo di
tecnologia, ma chiaramente sovradimensionato. Il suo costo (ed il suo
finanziamento in gran misura tramite crediti concessi dai fornitori) fu una
delle determinanti del collasso finanziario del Paese. La sua costruzione e la
sua messa in opera sono, però, state un collante della “Nation Zairoise” (come
si chiamava allora), un caleidoscopio d’etnie differenti che, pochi anni dopo
il completamento della linea di trasmissione da Inga allo Shaba, esplosero in
una guerra civile, peraltro ancora in atto. Ciò vuol dire che Inga non aveva
una giustificazione economica ma aveva una non secondaria funzione politica: il
tentativo di dare unità nazionale al mosaico di razze di cui era, ed è,
composto il Congo (nome storico ed attuale del vasto Paese).
Non
se giungerò mai a dare “uno sguardo dal ponte”. Non il mirabile testo di Arthur
Miller, trasformato in film tre volte e in opera lirica almeno due. Ma da
quello più prosaico sullo stretto di Messina di cui si parla sin dall’antichità
e che sarebbe dovuto essere in funzione proprio in questo anno di grazia 2016.
E’ in corso un contenzioso con la ditta che aveva avuto l’appalto.
Verosimilmente, se mai verrà costruito, a Villa San Giovanni in Calabria o nei
pressi della laguna di Gazirri in Sicilia ci sarà un albo per i visitatori. Se
ci andrò, vi scriverò qualcosa d’analogo a quanto vergato nell’ormai ingiallito
album dei visitatori d’Inga.
Il
dibattito sull’opera è ripreso in questi giorni perché il presidente del Consiglio l’ha inclusa tra le priorità
del programma del governo (nella foto il premier Matteo Renzi ieri alla festa dei 110
anni di Salini-Impregilo). Numerosi esperti hanno messo in
dubbio la priorità dell’investimento (rispetto a quella d’altri progetti come
l’alta velocità ferroviaria). Altri pensano che si tratti unicamente di una
trovata elettorale di cui dopo il referendum (quale che sia l’esito) non si
parlerà più. Un elegante libro pubblicato dalla Società Ponte di Messina una
decina di anni fa solleva più interrogativi (sulla redditività economica e
finanziaria del progetto, e sulla sua stessa sostenibilità) di quelli a cui
risponde. In ogni caso, il general contractor (contraente generale)
responsabile per l’opera complessiva è già in pista poiché la gara è stata
svolta durante la XIV legislatura. E’ Impregilo. Il finanziamento dovrebbe
essere attuato con una modalità parziale di “finanza di progetto” (40%
pubblico, 60% privato). Ci sono dubbi sui costi finanziari probabilmente
lievitati da 5.130 milioni di euro (6.036 milioni di euro tenendo conto degli
interessi capitalizzati durante il periodo di costruzione) a circa 10.000
milioni di euro, a ragione dei ritardi subiti in seguito alla decisione del
governo Prodi di accantonare il progetto. Ciò comporta, quindi, un aumento del
finanziamento pubblico (da 2.583 del programma originario a circa 6 miliardi
d’euro) ed un aggiustamento conseguente di quello privato. L’attenzione, pure
internazionale, è sul reperimento dei finanziamenti privati e delle condizioni
a cui essi saranno messi in campo, data la turbolenza ancora in atto nei
mercati finanziari mondiali.
Uno
sguardo sul ponte dovrebbe, però, rivolgersi anche ad altri aspetti. In primo
luogo, alla sostenibilità finanziaria. Ci sono due tipologie differenti
d’analisi finanziaria: dal punto di vista del gestore e dal punto di vista
degli utenti. Si tratta di definire tariffe tali da permettere al gestore di
coprire i costi ed ottenere, dopo alcuni anni, un cash flow (flusso di cassa)
positivo ed anche un buon margine operativo lordo ma anche da non scoraggiare
gli utenti ad utilizzare l’infrastruttura. Ciò comporta un’attività di
regolazione niente affatto semplice al fine di ricavare i tassi interni di
rendimento (Tir) sia al gestore sia a varie tipologie di utenti. Nella
pubblicazione della Società Ponte di Messina si parla di un Tir del 9% ma non
si specifica se ci si riferisce al gestore, ad alcune categorie d’utenti o ad
una media ponderata tra i Tir afferenti a tutte le categorie d’utenti. Inoltre,
non sono esplicitate né le ipotesi né la “robustezza” dell’indicatore. A
riguardo, un Tir del 9% supera di poco il tasso marginale di rendimento
dell’investimento pubblico (secondo le ultime stime econometriche fatte). Se
l’indicatore fosse “fragile”, invece, che “robusto” basterebbe che la realtà
effettuale fosse di poco meno positiva delle ipotesi per mettere a repentaglio
la sostenibilità dell’investimento. E rendere necessario l’intervento dello
Stato per la gestione. Forse per sempre.
Se
è stata fatta un’analisi finanziaria accurata ma secondo metodiche
tradizionali, essa andrebbe integrata con due strumenti che stanno entrando
nella prassi: una “Simulazione di Montecarlo” per valutare il rischio
finanziario ed un’analisi finanziaria estesa alle “opzioni reali” per esaminare
la fragilità o meno del 9%. Non si tratta d’innovazioni peregrine. In Italia
sono state utilizzate, tra l’altro, per esaminare il programma di transizione
da televisione analogica a digitale, il passante stradale e ferroviario della
Basilicata, il distretto turistico culturale di Trapani-Erice. La
documentazione è disponibile presso il Ministero dello Sviluppo Economico e la
Fondazione Ugo Bordoni. La rivista “Rassegna Italiana di valutazione” ha
dedicato alcuni anni fa un fascicolo speciale a questi temi. Vengono tenuti
regolarmente corsi su questi argomenti in alcune università ed alla Scuola
superiore della pubblica amministrazione. Non mancano, quindi, a casa nostra le
professionalità cui rivolgersi. In aggiunta, la Banca Mondiale ha un vasto
programma di sperimentazione e queste tecniche sono state utilizzate per
ri-programmare gli aeroporti nel Nord Europa. Quindi, ci si può indirizzare a
professionalità straniere. Ciò è tanto più essenziale poiché la documentazione
esistente sembra fare pensare che ancora una volta (altro caso celebre è la
costosa ristrutturazione del Teatro alla Scala) si è, sotto il profilo
finanziario, alla prese con un’”opzione call” nei confronti dell’erario.
L’”opzione call” diventa tanto più forte nell’ipotesi che il ponte diventi
l’unico modo di trasporto ferroviario; ove si ripetessero le vicende
dell’Eurotunnel , il “call” verrebbe esercitato (pure ripetutamente) al fine di
non interrompere il collegamento tra la Sicilia, da un lato, ed il resto
dell’Italia e dell’Europa, dall’altro.
Superati,
in modo affermativo, i nodi dell’analisi finanziaria, occorre rivolgersi
all’analisi economica. Ancora una volta ci sono due aspetti distinti: gli
effetti di breve periodo, nella “fase di cantiere”, ed il rendimento economico
nell’arco di tutta la vita del progetto. La stima dei primi è resa più
difficile dal fatto dalla metà degli Anni Novanta la matrice di contabilità
sociale (ossia il quadro delle interdipendenze settoriali ed istituzionali del
Paese) non è aggiornata che per comparti. Tuttavia, l’Università di Palermo è
uno dei pochi cenacoli in Italia in cui si lavora con tali strumenti
(amplamente impiegati per la messa a punto di uno dei piani regionali di
sviluppo della Regione Siciliana): dunque, non si partirebbe da zero. E’ utile
ricordare che la Signora Thatcher ritirò il finanziamento pubblico al tunnel
sotto la Manica quando l’analisi degli effetti mostrò che i principali benefici
sarebbero stati nel corridoio tra Parigi e Colonia. Analogamente, all’inizio
degli Anni Ottanta un’analisi preliminare degli effetti di cantiere del Ponte
sullo Stretto indicò che i benefici sarebbero ricaduti soprattutto sulla Lombardia,
sulla Liguria e sul Lazio perché è là che si producono i materiali di
costruzione e di fa il lavoro ingegneristico per l’opera. Ce n’è, dunque, a
sufficienza per fare di nuovo l’analisi con dati e strumentazione aggiornata.
L’analisi
economica sull’intera vita del progetto presenta aspetti delicati ma non
particolarmente difficili dato l’ampio lavoro manualistico (si pensi ai testi
di Hans Adler) proprio su progetti di trasporto. I punti più complicati
riguardano le esternalità tecnologiche a carattere ambientale ed il valore da
attribuire ai consumi delle generazioni future (a ragione della lunga vita
economica del progetto). Sono tematiche su cui si è lavorato molto proprio
all’Università della Calabria ed alla Scuola nazionale della pubblica amministrazione.
Effettuate
queste analisi è possibile quel dibattito a carte scoperte (come quello sulla
conversione della centrale di Montalto di Castro da termonucleare a
policombustibile) che sino ad ora è mancato. Potrebbe ridurre le legittime
domande sull’economicità e sostenibilità finanziaria dell’opera. Ritardarlo non
giova a nessuno. Tanto meno a chi crede nel ponte e per il ponte lavora.
A
chi interessa, domani 29 settembre, dalle 16 alle 18, se ne dibatterà alla
Biblioteca Vilfredo Pareto dell’Università di Tor Vergata. Coordina Simone
Bressan (sirettore Centro Studi Impresa Lavoro). Interverranno Sergio
Cherubini (Università “Tor Vergata”), Pierluigi Coppola (Università “Tor
Vergata”, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), Mario Sebastiani (Università
“Tor Vergata”, Società Italiana di Politica dei Trasporti e della Logistica)
Giovanni Trovato (Università “Tor Vergata”) e Salvatore Zecchini (Comitato Ocse
Piccole e Medie Imprese).
28/09/2016
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