venerdì 30 settembre 2016

«Scrivomusica per unire» in Avvenire primo ottobre



PÄRT
«Scrivomusica per unire»
GIUSEPPE PENNISI
Arvo Pärt non ama rilasciare interviste. È uno di più importanti compositori viventi. È membro del Pontificio Consiglio della Cultura e dottore honoris causa del Pontificio Istituto di Musica Sacra. A 81 anni, è parco, magro, mangia pochissimo, cammina molto nei boschi nel villaggio dove vive nei dintorni di Tallin, ma viaggia raramente. Occasione dell’incontro è stata la Sagra Musicale Umbra dove era nella giuria del Premio Siciliani di musica sacra, e dove è stata eseguita sua musica tra cui un brano ( Da Pacem) particolarmente appropriato al momento storico in cui stiamo vivendo. Questa sera a BergamoScienza la musica del compositore estone inaugurerà il festival con un concerto dell’ensemble Vox Clamantis, ma i suoi brani sono programmati in tutto il mondo, come recentemente a New York e Parigi. «Eppure non amo viaggiare – dice –, preferisco riflettere, comporre, e passare il tempo libero con mia moglie, con figli e con i nipoti».
Pärt si considera cattolico ma, precisa, «sono stato battezzato secondo il rito ortodosso di Costantinopoli, non quello di Mosca. Sono “ortodossi di Costantinopoli” anche mia moglie, i miei i figli e i miei i otto nipoti. Considero minime le differenze tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Uno dei principali obiettivi della mia vita è di contribuire a rompere gli steccati tra i cristiani; spero di vedere, nel corso della mia avventura terrena, la riunificazione delle varie confessioni che fanno capo a Cristo, anche se sono consapevole che per quelle di ispirazione luterana il cammino potrebbe essere molto lungo e accidentato. Vedo la musica non solo come arte ma soprattutto come strumento a questo fine: quella “spirituale” lega le varie confessioni e denominazioni».
Pärt è noto per il suo particolarissimo stile, iltintinnabuli. «Dopo aver frequentato le avanguardie europee dei decenni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, sono giunto alla conclusione che l’atonalità mi avrebbe portato in un vicolo cieco. Dopo avere sperimentato con la tecnica del collage e dopo circa vent’anni di elaborazione in silenzio, sono giunto a un nuovo stile basato sulla semplifi- cazione massima di tutti gli elementi compositivi. Il primo risultato fu la creazione di Cantus in memoriam Benjamin Britten, del 1976. È uno stile – precisa – molto rigoroso, costruito interamente su triadi e scale tonali, dove l’impiego della voce è di rilevante importanza. Lavoro con pochissimi elementi: una voce, due voci. Costruisco con i materiali più primitivi, con l’accordo perfetto, con una specifica tonalità. Tre note di un accordo sono come campane. Ed è perciò che chiamo questo stile “tintinnabulazione”. Ciò include anche un ritorno alla polifonia e allo stesso canto gregoriano».
Negli anni settanta , stavano facendo un percorso analogo i minima-listi americani (come Philip Grass) ma Pärt non sapeva di loro e loro non sapevano che molto poco di lui. Il tintinnabuli non aveva certo affinità con la musica sovietica degli anni settanta. «Dovetti lasciare l’ Estonia – racconta – e trasferirmi a Vienna dove trovai lavoro presso editori e istituzioni musicali e sviluppai contatti con la musica occidentale. Rientrai in patria appena possibile al crollo dei muri. Nel frattempo, i rapporti con i musicisti occidentali erano diventati solidi e saldi. È in questo quadro che la Los Angeles Philharmonic Orche- stra nel 2008 mi ha commissionato la Sinfonia N. 4 “Los Angeles”: l’ho scritta 37 anni dalla terza ». È un lavoro di quanta minuti per grande organico, eseguita in prima mondiale, a Los Angeles con Esa-Pekka Salonen sul podio. Ha avuto un grande successo e ha ricevuto una nomination ai Grammy Award.
Il suo lavoro attraversa tutti i generi, dal cameristico al corale al sinfonico, ma non tocca il teatro. «È vero, non mi sono mai sentito portato per il teatro in musica o l’opera lirica. Forse in Italia pochi sanno che mi sono dedicato molto alla musica per cinema. Per questo motivo, tra i musicisti italiani con cui ho avuto maggiori contatti ci sono, oltre a Salvatore Sciarrino e Luciano Berio, Nino Rota ed Ennio Morricone. Ho al mio attivo almeno una cinquantina di colonne sonore». Un musicista libero professionista, a cui nell’Estonia occupata dai russi non è mai stata offerta una cattedra di insegnamento, deve pur lavorare per vivere... «Inoltre – precisa – coniugare tintinnabuli minimalisti all’immagine rappresenta una sfida e offre opportunità».
Nei giorni a Perugia Arvo Pärt ha visitato la Galleria Nazionale Umbra. Il suo interesse è stato principalmente per l’immagine del Cristo in croce. È rimasto particolarmente colpito da un Crocifisso anonimo in legno di pioppo, scolpito e dipinto, del XIV secolo. «Un volto molto sereno – ha commentato – per la gioia di averci salvato». Prima di uscire, è tornato alla sala iniziale per rivederlo ancora una volta. Ne ha voluto comprare una cartolina da portare in Estonia.
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L’incontro
A colloquio con il grande musicista estone che stasera inaugura BergamoScienza «Uno dei miei principali obiettivi è contribuire a rompere gli steccati tra i cristiani»
MAESTRO. Il compositore estone Arvo Pärt, 81 anni

mercoledì 28 settembre 2016

Matteo Renzi, il Ponte sullo Stretto e il rapporto costi-benefici in Formiche 28 settembre



Matteo Renzi, il Ponte sullo Stretto e il rapporto costi-benefici
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Matteo Renzi, il Ponte sullo Stretto e il rapporto costi-benefici
Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Alla fine degli Anni Settanta nelle vesti di dirigente di una divisione della Banca mondiale, visitai la diga d’Inga; scrissi nell’albo degli ospiti: “Mi spiace di avere bocciato il finanziamento di questa meraviglia ingegneristica anche se sono ancora convinto che non è un investimento tale da reggere ad un’analisi finanziaria ed economica”. La diga è un enorme complesso per portare elettricità dalle vicinanze della capitale di quello che allora era chiamato Zaire alla regione mineraria, lo Shaba. Aveva una capacità di produzione pari al 30% dei consumi effettivi d’elettricità degli Usa nel 1950; un miracolo di tecnologia, ma chiaramente sovradimensionato. Il suo costo (ed il suo finanziamento in gran misura tramite crediti concessi dai fornitori) fu una delle determinanti del collasso finanziario del Paese. La sua costruzione e la sua messa in opera sono, però, state un collante della “Nation Zairoise” (come si chiamava allora), un caleidoscopio d’etnie differenti che, pochi anni dopo il completamento della linea di trasmissione da Inga allo Shaba, esplosero in una guerra civile, peraltro ancora in atto. Ciò vuol dire che Inga non aveva una giustificazione economica ma aveva una non secondaria funzione politica: il tentativo di dare unità nazionale al mosaico di razze di cui era, ed è, composto il Congo (nome storico ed attuale del vasto Paese).
Non se giungerò mai a dare “uno sguardo dal ponte”. Non il mirabile testo di Arthur Miller, trasformato in film tre volte e in opera lirica almeno due. Ma da quello più prosaico sullo stretto di Messina di cui si parla sin dall’antichità e che sarebbe dovuto essere in funzione proprio in questo anno di grazia 2016. E’ in corso un contenzioso con la ditta che aveva avuto l’appalto. Verosimilmente, se mai verrà costruito, a Villa San Giovanni in Calabria o nei pressi della laguna di Gazirri in Sicilia ci sarà un albo per i visitatori. Se ci andrò, vi scriverò qualcosa d’analogo a quanto vergato nell’ormai ingiallito album dei visitatori d’Inga.
Il dibattito sull’opera è ripreso in questi giorni perché il presidente del Consiglio l’ha inclusa tra le priorità del programma del governo (nella foto il premier Matteo Renzi ieri alla festa dei 110 anni di Salini-Impregilo). Numerosi esperti hanno messo in dubbio la priorità dell’investimento (rispetto a quella d’altri progetti come l’alta velocità ferroviaria). Altri pensano che si tratti unicamente di una trovata elettorale di cui dopo il referendum (quale che sia l’esito) non si parlerà più. Un elegante libro pubblicato dalla Società Ponte di Messina una decina di anni fa solleva più interrogativi (sulla redditività economica e finanziaria del progetto, e sulla sua stessa sostenibilità) di quelli a cui risponde. In ogni caso, il general contractor (contraente generale) responsabile per l’opera complessiva è già in pista poiché la gara è stata svolta durante la XIV legislatura. E’ Impregilo. Il finanziamento dovrebbe essere attuato con una modalità parziale di “finanza di progetto” (40% pubblico, 60% privato). Ci sono dubbi sui costi finanziari probabilmente lievitati da 5.130 milioni di euro (6.036 milioni di euro tenendo conto degli interessi capitalizzati durante il periodo di costruzione) a circa 10.000 milioni di euro, a ragione dei ritardi subiti in seguito alla decisione del governo Prodi di accantonare il progetto. Ciò comporta, quindi, un aumento del finanziamento pubblico (da 2.583 del programma originario a circa 6 miliardi d’euro) ed un aggiustamento conseguente di quello privato. L’attenzione, pure internazionale, è sul reperimento dei finanziamenti privati e delle condizioni a cui essi saranno messi in campo, data la turbolenza ancora in atto nei mercati finanziari mondiali.
Uno sguardo sul ponte dovrebbe, però, rivolgersi anche ad altri aspetti. In primo luogo, alla sostenibilità finanziaria. Ci sono due tipologie differenti d’analisi finanziaria: dal punto di vista del gestore e dal punto di vista degli utenti. Si tratta di definire tariffe tali da permettere al gestore di coprire i costi ed ottenere, dopo alcuni anni, un cash flow (flusso di cassa) positivo ed anche un buon margine operativo lordo ma anche da non scoraggiare gli utenti ad utilizzare l’infrastruttura. Ciò comporta un’attività di regolazione niente affatto semplice al fine di ricavare i tassi interni di rendimento (Tir) sia al gestore sia a varie tipologie di utenti. Nella pubblicazione della Società Ponte di Messina si parla di un Tir del 9% ma non si specifica se ci si riferisce al gestore, ad alcune categorie d’utenti o ad una media ponderata tra i Tir afferenti a tutte le categorie d’utenti. Inoltre, non sono esplicitate né le ipotesi né la “robustezza” dell’indicatore. A riguardo, un Tir del 9% supera di poco il tasso marginale di rendimento dell’investimento pubblico (secondo le ultime stime econometriche fatte). Se l’indicatore fosse “fragile”, invece, che “robusto” basterebbe che la realtà effettuale fosse di poco meno positiva delle ipotesi per mettere a repentaglio la sostenibilità dell’investimento. E rendere necessario l’intervento dello Stato per la gestione. Forse per sempre.
Se è stata fatta un’analisi finanziaria accurata ma secondo metodiche tradizionali, essa andrebbe integrata con due strumenti che stanno entrando nella prassi: una “Simulazione di Montecarlo” per valutare il rischio finanziario ed un’analisi finanziaria estesa alle “opzioni reali” per esaminare la fragilità o meno del 9%. Non si tratta d’innovazioni peregrine. In Italia sono state utilizzate, tra l’altro, per esaminare il programma di transizione da televisione analogica a digitale, il passante stradale e ferroviario della Basilicata, il distretto turistico culturale di Trapani-Erice. La documentazione è disponibile presso il Ministero dello Sviluppo Economico e la Fondazione Ugo Bordoni. La rivista “Rassegna Italiana di valutazione” ha dedicato alcuni anni fa un fascicolo speciale a questi temi. Vengono tenuti regolarmente corsi su questi argomenti in alcune università ed alla Scuola superiore della pubblica amministrazione. Non mancano, quindi, a casa nostra le professionalità cui rivolgersi. In aggiunta, la Banca Mondiale ha un vasto programma di sperimentazione e queste tecniche sono state utilizzate per ri-programmare gli aeroporti nel Nord Europa. Quindi, ci si può indirizzare a professionalità straniere. Ciò è tanto più essenziale poiché la documentazione esistente sembra fare pensare che ancora una volta (altro caso celebre è la costosa ristrutturazione del Teatro alla Scala) si è, sotto il profilo finanziario, alla prese con un’”opzione call” nei confronti dell’erario. L’”opzione call” diventa tanto più forte nell’ipotesi che il ponte diventi l’unico modo di trasporto ferroviario; ove si ripetessero le vicende dell’Eurotunnel , il “call” verrebbe esercitato (pure ripetutamente) al fine di non interrompere il collegamento tra la Sicilia, da un lato, ed il resto dell’Italia e dell’Europa, dall’altro.
Superati, in modo affermativo, i nodi dell’analisi finanziaria, occorre rivolgersi all’analisi economica. Ancora una volta ci sono due aspetti distinti: gli effetti di breve periodo, nella “fase di cantiere”, ed il rendimento economico nell’arco di tutta la vita del progetto. La stima dei primi è resa più difficile dal fatto dalla metà degli Anni Novanta la matrice di contabilità sociale (ossia il quadro delle interdipendenze settoriali ed istituzionali del Paese) non è aggiornata che per comparti. Tuttavia, l’Università di Palermo è uno dei pochi cenacoli in Italia in cui si lavora con tali strumenti (amplamente impiegati per la messa a punto di uno dei piani regionali di sviluppo della Regione Siciliana): dunque, non si partirebbe da zero. E’ utile ricordare che la Signora Thatcher ritirò il finanziamento pubblico al tunnel sotto la Manica quando l’analisi degli effetti mostrò che i principali benefici sarebbero stati nel corridoio tra Parigi e Colonia. Analogamente, all’inizio degli Anni Ottanta un’analisi preliminare degli effetti di cantiere del Ponte sullo Stretto indicò che i benefici sarebbero ricaduti soprattutto sulla Lombardia, sulla Liguria e sul Lazio perché è là che si producono i materiali di costruzione e di fa il lavoro ingegneristico per l’opera. Ce n’è, dunque, a sufficienza per fare di nuovo l’analisi con dati e strumentazione aggiornata.
L’analisi economica sull’intera vita del progetto presenta aspetti delicati ma non particolarmente difficili dato l’ampio lavoro manualistico (si pensi ai testi di Hans Adler) proprio su progetti di trasporto. I punti più complicati riguardano le esternalità tecnologiche a carattere ambientale ed il valore da attribuire ai consumi delle generazioni future (a ragione della lunga vita economica del progetto). Sono tematiche su cui si è lavorato molto proprio all’Università della Calabria ed alla Scuola nazionale della pubblica amministrazione.
Effettuate queste analisi è possibile quel dibattito a carte scoperte (come quello sulla conversione della centrale di Montalto di Castro da termonucleare a policombustibile) che sino ad ora è mancato. Potrebbe ridurre le legittime domande sull’economicità e sostenibilità finanziaria dell’opera. Ritardarlo non giova a nessuno. Tanto meno a chi crede nel ponte e per il ponte lavora.
A chi interessa, domani 29 settembre, dalle 16 alle 18, se ne dibatterà alla Biblioteca Vilfredo Pareto dell’Università di Tor Vergata. Coordina Simone Bressan (sirettore Centro Studi Impresa Lavoro). Interverranno Sergio Cherubini (Università “Tor Vergata”), Pierluigi Coppola (Università “Tor Vergata”, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), Mario Sebastiani (Università “Tor Vergata”, Società Italiana di Politica dei Trasporti e della Logistica) Giovanni Trovato (Università “Tor Vergata”) e Salvatore Zecchini (Comitato Ocse Piccole e Medie Imprese).

Pietro Salini, Matteo Renzi e John Phillips
Matteo Renzi
Matteo Renzi
Pietro Salini e Matteo Renzi
Matteo Renzi

Pietro Salini
Matteo Renzi e Pietro Salini




Pietro Salini, Matteo Renzi e John Phillips
Matteo Renzi
Matteo Renzi
Pietro Salini e Matteo Renzi
Matteo Renzi
Matteo Renzi
Pietro Salini
Pietro Salini

28/09/2016

Il sensuale “Lago dei Cigni” di Christopher Wheeldon al Teatro dell’Opera di Roma in Formiche del 28 settembre



Il sensuale “Lago dei Cigni” di Christopher Wheeldon al Teatro dell’Opera di Roma
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Il sensuale “Lago dei Cigni” di Christopher Wheeldon al Teatro dell’Opera di Roma
Il Lago dei Cigni, uno dei capolavori compositivi di Petr Ilic Ciajkovskij, è uno dei balletti più rappresentati al Teatro dell’Opera di Roma, nonostante sia arrivato relativamente tardi sul palcoscenico della Capitale: se ne contano una trentina di messe in scena (ciascuna con 6-10 repliche dal 1937 ad oggi) e quasi una l’anno dal 2000 ad oggi. Mancava dal 2013 e il Teatro ne ha programmato una nuova produzione a grande richiesta per quindici repliche tra il 17 settembre ed il 5 novembre.
Composto tra il 1875 e il 1876 – ossia nel pieno della crisi di identità sessuale di Petr Ilic e di suo fratello Modest –, debuttò a Mosca nel 1877 senza ottenere il successo sperato, che gli arrise invece, grazie anche alla nuova coreografia di Marius Petipa, nel 1892 a San Pietroburgo, dopo gli esiti trionfali dei due balletti successivi, La Bella Addormentata nel Bosco e Lo Schiaccianoci. Al Teatro dell’Opera arrivò nel 1937, nella versione di Boris Romanov che vi impiegò Attilia Radice e Anatolij Obuchov. La coreografia del successo originale di Marius Petipa e Lev Ivanov fu proposta dal London’s Festival Balletnel 1960 e otto anni prima il New York City Ballet aveva eseguito quella del suo coreografo di punta George Balanchine. Le Terme di Caracalla ospitarono il balletto per la prima volta nel 1980 con Diana Ferrara e Paolo Bortoluzzi come protagonisti della versione di Jurij Grigorovic, versione già offerta al pubblico romano dal Corpo di Ballo del Teatro Bolscioi nel 1970. La stessa ambientazione estiva accolse Rudolf Nureyev nei panni del principe Siegfried nel 1984. Complessivamente circa 100 rappresentazioni tra la principale sede invernale (il Teatro Costanzi) e quella estiva (le Terme di Caracalla). Forse solo il Bolschoi di Mosca e il Marrinskij di San Pietroburgo ne hanno avuto un numero maggiore.
Negli ultimi anni è stata proposta un’edizione, con la coreografia e le scene di Maurice Bart, basato – solo in parte – sul lavoro Marius Petipa e Lev Ivanov. Per un decennio è stato proposto un allestimento con scene ed i costumi di Aldo Buti. Di norma si pensa che “Il Lago dei Cigni” è uno spettacolo per bambini. Invece, pur basato su un’antica fiaba russa, la partitura Petr Ilic Ciajkovskij è ambigua, sensuale e morbosa. Il balletto è stato composto quando l’autore, consapevole della propria omosessualità (e di quella di suo fratello), si sposò per celarla. Un matrimonio breve che terminò con il ricovero in manicomio della moglie e innescò la serie di eventi che portarono al suo suicidio (più o meno volontario) nel 1893, proprio mentre “Il Lago dei Cigni” stava gustando il successo meritato. Alcuni elementi di questo dramma si colgono nell’interazione tra il protagonista, il principe Siegfried, ed il suo miglior amico Benno, nonché nella Regina protettiva che fa di tutto per spingere il figlio al matrimonio, ma resta desolatamente sola nell’ultimo quadro.
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Nell’allestimento in scena a Roma dal 2003 al 2012, negli gli atti a Palazzo Reale la scenografia era quasi ottocentesca, ma in quelli nei pressi del lago viene inserita (al centro del lago) una riproduzione de L’Isola dei Morti di Arnold Böcklin, uno dei quadri più ambigui e più intriganti del decadentismo di fine Ottocento (Hitler si impossessò dell’originale e lo teneva nel suo bunker). Nell’allestimento del 2013, eravamo invece, siamo in un mondo dal cielo grigio: con un abile gioco di luci e di scene dipinte il Palazzo si trasforma in riva (ed anche fondo) del lago. Il marrone domina l’impianto scenico, un marrone limaccioso che indica eloquentemente i contrasti interiori del compositore.
Mi sono dilungato sulle produzioni precedenti, proprio per sottolineare la differenza rispetto a quella adesso in scena a Roma. Viene dal Badisches Staatstheaters di Karlsruhe ed è firmata dal coreografo Christopher Wheeldon, uno dei nomi di maggior prestigio della danza a livello internazionale. Segue di massima la coreografia di Petita e di Ivanov, ma lo spettacolo non è collocato come di consueto in un medioevo tedesco di fantasia con richiami funerari come quelli di  Böcklin. Siamo nella Parigi di fine ottocento, più specificamente nella sala prova dell’Opera al Palais Garnier, dove il balletto è “in prova”. Il riferimento pittorico delle scene di Adrianne Lobel e dei costumi di Jean Marc Puissant sono Degas e le sue ballerine. Al terzo atto, il banchetto non è in palazzo reale di fantasia, ma nei ristoranti della belle époque . E la vicenda? Si dipana, in modo onirico, nella mente del primo ballerino, turbato dalla purezza del cigno bianco (di cui è innamorato) e del cigno nero, che lo eccita sessualmente. Un’interpretazione originalissima, ma al tempo stesso molto fedele ai turbamenti e perturbamenti di Ciajkovskij quando componeva Il Lago dei Cigni . Al pubblico della “prima” (teatro pienissimo) è piaciuto: circa dieci minuti di applausi.
Si alternano tre cast. Alla “prima” il 27 settembre, i protagonisti erano Lauren Cuthberston, Federico Bonelli e Manuel Paruccini. Di grande livello tutti gli altri. Nir Kabaretti sul podio.
28/09/2016