Un paio di consigli (da vecchio zio) a Tito Boeri
Come professore, l'economista bocconiano ha certamente titolo di presentare
tutte le proposte che ritiene. Ma come presidente dell’Inps il suo compito
primario, e forse unico, è quello di rendere efficiente un pachiderma lento,
inefficiente
Conosco Tito Boeri dal 1987,
quando su suggerimento di un comune amico mi inviò il manoscritto della sua
tesi di dottorato in materia di valutazione degli investimenti pubblici alla New
York University. Gli mandai una decina di pagine di osservazioni. Era quasi
estate: passammo una giornata a discuterli a casa dei miei suoceri in Borgogna
(allora Boeri viveva a Parigi con una borsa di ricerca dell’OCSE). Dalla tesi uscì un ottimo libro Beyond the Rule of the Thumn
(Westwiew Press, 1990). A cavallo tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta, ci
vedemmo diverse volte a Parigi (dove era stato assunto all’OCSE) e poi a
Milano, quando era entrato in Bocconi.
Ho collaborato spesso a LaVoce.info
ed ho partecipato a numerosi convegni della Fondazione Rodolfo De Benedetti,
anche a Napoli e a Catania. In effetti, non ci vediamo da quando ha l’attuale
carica all’Inps. Mi ha detto che è assorbito da molto lavoro. Ho sempre
avuto nei suoi confronti amicizia, stima e affetto, dati i 16 anni di età di
differenza. Non abbiamo avuto sempre idee convergenti: ad esempio, al tempo
della riforma Dini del 1995, non condivisi il suo entusiasmo ed espressi
riserve nei confronti del lungo periodo di transizione (18 anni) rispetto a
quello della contemporanea riforma svedese (3 anni), poiché vedevo i problemi
di equità intergenerazionale che avrebbe causato.
Quindi mi spiace davvero leggere le
severe critiche nei suoi confronti che appaiono in questi giorni. Tra cui, la
lettera inviata dall’ex presidente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti
della Lombardia, Franco Abruzzo (autorevolissimo nella
professione) a tutti i giornalisti italiani, secondo cui “i suoi progetti
brutali e violenti hanno seminato paura, panico, insonnia e tachicardia tra i
pensionati del ceto medio” e “destabilizzato anche i lavoratori attivi
che temono per i loro assegni futuri qualora dovesse passare il principio che
le pensioni possono essere manipolate a piacimento”.
Per questi motivi, mi permetto di
dare a Boeri un paio di consigli da vecchio zio, ben sapendo che non verranno
ascoltati. Non entro nel merito delle sue proposte sul futuro della previdenza
proprio per l’amicizia che credo ancora ci leghi. Idee differenti vanno
rispettate se formulate da persone oneste e Tito onestissimo lo è. Credo
che alla base di tutto ci sia un malentendu camusiano (quello che porta
madre e sorella ad uccidere il proprio figlio e fratello nel sonno).
Il “malinteso” riguarda il fatto
che, come professore, ha certamente titolo di presentare tutte le proposte che
ritiene. Ma come presidente dell’Inps il suo compito primario, e forse unico, è
quello di rendere efficiente un pachiderma lento, inefficiente e
particolaristico-clientelare.
Valgano un paio di esempi. Mia
moglie ha dovuto attendere due anni e mezzo perché la sua pensione venisse
liquidità; venne poi fatto in 24 ore quando mi rivolsi al capo della segretaria
del suo predecessore Mastrapasqua, un giovane dirigente Inps che
era stato per due anni e mezzo mio ex-allievo. Un chiaro caso di
inefficienza e particolarismo-clientelare a vantaggio di mia moglie. Una
notissima economista italiana attende da oltre un anno che le venga
liquidità la pensione del marito, alto magistrato della Repubblica; forse
l’Inps aspetta che pure lei sia defunta. Altro esempio, perché nell’”operazione
trasparenza”, non vene condotta un’indagine sui silenti coloro che hanno
versato contributi (a volte non per vent’anni) o che non reclamano la pensione?
Una ventina di anni fa venne individuata la pessima prassi di utilizzare
versamenti dei silenti a favore degli ‘amici degli amici’ per portarli ai
requisiti minimi od anche per aumentarne gli assegni previdenziali.
Il presidente monocratico di un ente
reso efficiente avrebbe non titolo (spetta al ministro del Lavoro) di formulare
politiche previdenziale ma di proporre all’organo politico proposte di riforma,
ma sommessamente. Senza andare a talk shows o ad interviste televisive. Ne
guadagnerebbe in credibilità ed aumenterebbe la probabilità che le sue idee
vengano ascoltate ed alcune di esse accolte. Non – me ne compiango davvero –
sbeffeggiate.
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