MUSICA E ARTE SACRA/ Antico e moderno nel XIV Festival nelle basiliche
romane
Pubblicazione: martedì 10 novembre 2015
Messa per Santa Cecilia
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Il Festival di Musica e Arte Sacra
che si tiene tradizionalmente in autunno nelle Basiliche romane è giunto alla
quattordicesima edizione (28 ottobre-4 novembre) Il tema di quest’anno è stato
il ricordo di Papa Santo Giovanni Paolo II, nel decimo anniversario della fine
della sua avventura terrena.
Un grande complesso internazionale,
i Weiner Philharmoniker, sono stati anche questa volta l’orchestra in
residence ed hanno tenuto uno spettacolare concerto beethoveniano (ottava e
settima sinfonia) nella Basilica di San Paolo fuori le mura (quasi in concorrenza
con il ciclo beethovienano che teneva Antonio Pappano all’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia. Sono affiancati da una formazione giapponese , la Illumin Art
Philharmonic, che, guidata da Tomomi Niscitomo ha anche essa acquisito fama
mondiale. Tra gli altri complessi di grande rilievo internazionale, il tedesco
Montini-Chor ed Ensemble Hans Berger, nonché lo svedese St. Jacobs Chamber
Choir. Non manca l’internazionale Coro e Orchestra della Filarmonica delle
Nazioni ed ovviamente il coro della Cappella Sistina.
Tra i complessi italiani ha
spiccato Roma Sinfonietta che anima la stagione concertistica
dell’Università di Roma a Tor Vergata. Il concerto conclusivo, è infine,
incentrato su una star che appassiona il grande pubblico come Giovanni Allevi
che ha presentato la prima assoluta di un suo lavoro per organo. Al Festival
hanno preso parte 600 artisti di otto Paesi. Ciò anche in ricordo di Papa
San Giovanni Paolo II il quale vedeva la Seconda Guerra Mondiale come una
“apostasia silenziosa” per “distruggere l’identità cristiana dell’Europa”. In
questa ottica, il Festival, che non solo ha fatto suonare insieme tanti artisti
di tanti differenti Paesi europei ma porta anche a Roma circa 2000 “pellegrini
musicali” dal resto d’Europa, è anche uno strumento per rafforzare quelle
radici cristiane dell’Europa, che oggi vengono contestate.
L’aspetto fondamentale è come spesso
nello stesso concerto siano stati proposti brani ‘classici’ e brani ‘moderni’
od anche ‘ contemporanei’ quasi ad ammonirci che la musica classica è sempre
contemporanea.
Lo si è avvertito sin dal primo
concerto. Per l’inaugurazione è stato scelto un programma che amalgama
differenti epoche e stili: per l’elevazione spirituale si ha la Messa
solenne per santa Cecilia di Gounod del 1855, seguita durante la
celebrazione dell’Eucarestia della Messa di padre Rupert Mayer di Hans
Berger (completata nel 2008), interpolata, però, durante la comunione, da un
canto orasho in latino dei kakure kirshitan
La Messa per santa Cecilia è
strettamente legata alla Terza repubblica della borghesia e
dell’industrializzazione trionfante: una scrittura semplice, ma al tempo stesso
grandiosa e caratterizzata da una luce serena. Comporta un organico orchestrale
di medie dimensioni (la Roma Sinfonietta), un coro (sempre Roma Sinfonietta) e
tre solisti. Il tenore (Pierluigi Paolucci) ha nel Sanctus una vocalità
“spinta” ed un’impostazione simile a quella del protagonista dell’opera più
nota di Gounod, il Faust. Il soprano Sachie Ueshima ha una bella
intonazione, ma forse la parte avrebbe richiesto una voce più spessa. Buono il
baritono David Ravignani.
Si è passati, poi, durante la
celebrazione eucaristica officiata dal Cardinal Angelp Comastri, alla prima
italiana della Messa di padre Rupert Mayer di Hans Berger. Padre Rupert
Mayer (1878-1945), beatificato nel 1987, è stato un gesuita che si oppose al
nazismo. La Messa segue gli stilemi musicali della fine del Novecento
per un lavoro che intende essere grandioso: un organico orchestrale più ampio, un
doppio coro (il Montini Chor in aggiunta di quello della Roma Sinfonietta), una
scrittura orchestrale più possente che raffinata, echi di musica americana,
testo nella lingua del Paese (qui, tedesco).
Al momento della comunione, il lavoro di Berger viene amalgamato
con un dolcissimo canto orasho della “Chiesa del silenzio”
giapponese di circa tre secoli fa eseguito dal nipponico IlluminArt
Philharmonic Chorus. L’innesto ha funzionato perfettamente. Al termine, il
tenore ha ripreso il Sanctus di Gounod quasi a riaffermare
che la musica classica è sempre contemporanea. Il vero coup de théâtre del
concerto è la minuta direttrice Tomoni Nishimoto, che domina un complesso
organico ed una ricchissima scrittura orchestrale e vocale.
Tra gli altri concerti che ho seguito personalmente due spiccano.
Quello a Santa Maria Maggiore del primo novembre dove si sono confrontati
il Coro della Cappella Sistina con quello della Cattedrale luterana di
Stoccolma (St. Jacob’s Chamber Choir) cantando nell’ultima parte insieme con
straordinari effetti stereofonici. Si anche potuto riascoltare il Credo di
Giovanni Bonato, Premio Siciliani del 2014. Ed il concerto finale nella
Basilica di Sant’Ingazio dove Giovanni Allevi ha presentato in prima mondiale
la sua ‘toccata canzone e fuga in re maggiore’ per organo a canna i una serata
in cui era accostato a lavori per organo di Bach e Mendelssohn-Bartholdy.
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