STRAUSS Elektra N. Petrinsky, E.
Nebera, A. Gabler, J. Vacik, T. Hall, L. Gallo, A. Sautier, E. Contucci,
C. Putelli, P.F. Natale, C. Heller, D. Denschlag, E. Oltiványi; Orchestra
e Coro del Teatro Comunale di Bologna, direttore Lothar Zagrosek regia Guy Joosten scene e costumi Patrick Kinmonth luci Manfred Voss
Teatro Comunale
di Bologna, 15 Novembre
Elektra è l’opera del binomio Strauss-Hofmannsthal più vista ed ascoltata
negli ultimi anni. La hanno messa in scena quasi tutte le fondazioni
liriche e, nonostante le difficoltà che comporta, anche alcuni teatri di
tradizione (ad esempio, Piacenza, Bolzano, Catania). Sorprende, quindi,
che al Teatro Comunale di Bologna sia stata rappresentata una sola volta,
nel lontano 1969, e, per di più, in traduzione ritmica italiana. Quindi,
quella del 15 novembre deve essere considerata una vera prima nella città
felsinea. Mentre, specialmente alle prime, in questi ultimi anni, il
pubblico del Teatro Comunale ha spesso lasciato alcune file vuote e, dopo
applausi di cortesia, è spesso corso al guardaroba per poi correre a cene
ed altri eventi sociali, il 15 novembre, palchi, platee e loggione erano
stracolmi ed al fine della tragedia in un atto è scoppiato in circa dieci
minuti di ovazioni. Elektra ha incantato
quella Bologna che per poco più di un secolo, sembra averla snobbata.
Non è certo il
caso di riassumere la trama dell’opera, basata sulla versione di Sofocle
del mito (molto diversa da quelle di Eschilo ed Euripide): in questa
nota, quindi, mi soffermo sugli aspetti specifici di questa produzione,
una joint venture con il Gran
Teatro del Liceu di Barcelona ed il Théâtre La Monnaie di Bruxelles che,
subito dopo Bologna, si vedrà a Reggio Emilia
In primo luogo,
l’ambientazione. La vicenda è portata agli Anni Quaranta in un palazzo
semi diroccato, in cui restano segni di un barocco tedesco. In un primo
momento (il contrappunto delle ancelle in uno spogliatoio mentre
indossano uniformi grigie) ho pensato che si trattasse della Germania
dell’Est, all’inizio del dopoguerra. Successivamente, quando appare
Egisto vestito come Heinrich Himmler, è chiaro che siamo nell’ultima fase
della seconda guerra mondiale: la reggia degli Atridi crolla così come
finirono le architetture allestite da Alber Speer per Hitler. Non siamo
ancora alla Germania Anno Zero di Roberto
Rossellini, ma vi ci siamo dirigendo, come mostra, nella scena finale, la
massa di cadaveri sanguinanti nel praticabile al secondo livello del
palcoscenico, mentre Elettra è nel vortice della sua macabra danza
finale. Solo per Crisotemide sembra esserci un futuro: quello di una
brava moglie, con prole, che vorrà mettere una densa coltro d’oblio sul
passato.
In questa Elektra non c’è un barlume di tenerezza come in quella, con la regia di
Patrice Chéreau, che ha debuttato alcuni anni fa a Aix-en-Provence e si è
vista due stagioni fa alla Scala. Non c’è nessun accento sulla
psicoanalisi (nonostante l’opera di Strauss venga composta proprio negli
anni in cui a Vienna, Sigmund Freud cominciava a pubblicare i risultati
delle sue ricerche). Con l’eccezione - come detto - di Crisotemide e del
Precettore (nella sua breve apparizione) siamo in una società che sta
franando. Chi cerca il perdono (Clitennestra) non lo ottiene. La
protagonista è puro istinto con un unico obiettivo: le vendetta. Ottenutolo,
la sua danza di gioia non può essere che anche di morte.
Ma Elektra è soprattutto musica. Nel 1909, le sue dissonanze sconvolsero
pubblico e critici, facendo passare quasi inosservate le parti melodiche,
l’uso estensivo di scale cromatiche, e la stessa armonia portata agli
estremi. In effetti, è un unicum che sembra cambiare ogni volta a seconda
del maestro concertatore. Lothar Zagrosek è noto soprattutto come
direttore di musica contemporanea, nonché della seria di CD Decca di Entartete Musik (partiture considerate dal Nazismo
degenerate ed in molti casi date alle fiamme – fortunatamente se ne sono
salvate alcune copie). Quindi non può che dare una lettura particolare a Elektra, accentuandone i momenti ritmici e tenendo serrati i tempi.
Paradossalmente, in questa lettura le dissonanze si avvertono ancora di
più.
Come è noto, sia
l’azione sia la musica hanno una struttura a ellisse; l’introduzione
quasi contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare il
monologo di Elettra) si snoda in una vasta parte centrale in cui il
confronto tra Elettra e Clitennestra (colma di disperazione proprio per
il diniego del perdono) è inserito tra due altri confronti tra Elettra e
Crisotemide (rispettivamente sul significato della vita e sul valore
della vendetta). In tutta questa parte centrale si scontrano due aree
tonali molto lontane, per avvicinarsi poi nella scena del ritorno di
Oreste e predisporre la danza macabra finale. Nella direzione di Zagrosek
non si avverte alcuna cesura di continuità tra le varie parti (cesure che
si avvertivano fin troppo in un allestimento scaligero diretto, circa
vent’anni fa, dal mai troppo compianto Giuseppe Sinopoli).
Il cast vocale
si integra perfettamente con questa lettura orchestrale. D’altronde,
Bologna è la terza tappa, dopo Barcellona e Bruxelles, in cui l’équipe
lavora insieme. Anche se, tranne Natascha Petrinsky (Clitennestra), sono
artisti poco noti in Italia (in quanto specializzati nel repertorio
tedesco), hanno tutti dato un’ottima prova: dalla felina Elena Nebeba (Elettra)
alla gelida Natascha Petrinsky, dalla dolcissima Anna Gabler
(Crisotemide), al brutale Jan Vacik (Egisto), al vigoroso Thomas Hall
(Oreste)
Giuseppe Pennisi
|
Nessun commento:
Posta un commento