FINANZA E POLITICA/ La "manovra bis" necessaria per l'Italia
Pubblicazione: lunedì 23 novembre 2015
Pier Carlo Padoan (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Un tempo, tra la fine degli anni
Ottanta e l’inizio dei Novanta, si parlava in gergo burocratico e giornalistico,
di “finanziaria bis”, ossia di una seconda legge finanziaria da varare prima
dell’estate per tenere conto dell’evoluzione dell’economia e della finanza
pubblica nei primi mesi dell’anno (dato che non li si era anticipati nel
settembre dell’anno precedente, quando il disegno di legge era stato
approntato). In questi giorni, dopo l’approvazione al Senato, sulla scia di
maxiemendamenti e di voti di fiducia, il disegno di legge di stabilità per il
2016 sta cominciando il proprio iter alla Camera dei Deputati (dove, grazie al
maxi-premio di maggioranza, il Governo può contare su un percorso in discesa).
E l’Esecutivo dovrebbe cominciare a riflettere su una “legge di stabilità bis”
poiché gli avvenimenti delle ultime settimane hanno mutato in misura significativa
il quadro di riferimento e per l’economia reale e per la finanza pubblica.
L’Italia è presa a tenaglia da due
determinanti, una proveniente dall’Ovest e l’altra dall’Est e dal Sud, che ne
mettono a repentaglio e le stime dell’andamento dell’economia reale e le
previsioni dei saldi di finanza pubblica. Venerdì 13 novembre, il giorno delle
stragi di Parigi, il “gruppo del consenso” ( i venti istituti privati di
analisi econometria previsionale che ogni mese producono, per i loro abbonati,
analisi e previsioni per i 14 maggiori Paesi dell’economia internazionale) ha
diramato le sue stime per i prossimi 24 mesi. Un lavoro effettuato e completato
prima degli ultimi sviluppi internazionali.
Quelle per l’Italia erano meno
ottimistiche di quanto incluso nel Documento di economia e finanza (Def) alla
base della Legge di stabilità: una ripresa lenta e fragile che nel 2016-2017
avrebbe portato a un crescita annua del Pil sull’1,2-1,3%. Ciò spiega anche le
riserve espresse dalla Commissione europea a una prima lettura del Def e della
Legge di stabilità, riserve che in Italia si è inteso minimizzare. Dopo gli
avvenimenti degli ultimi dieci giorni, è facile ipotizzare un ulteriore
rallentamento della crescita.
Tre sono le catene di trasmissione
immediate: l’export che minaccia di essere duramente colpito (il 15% circa
delle nostre esportazioni è diretto al Medio Oriente e al Nord Africa); il
turismo che potrebbe subire una vera e propria gelata (a ragione delle
preoccupazioni di viaggiare verso uno dei Paesi individuati palesemente dal
sedicente Califfato Islamico come uno dei suoi obiettivi); i consumi interni,
in quanto l’incertezza è sempre associata a fenomeni di tesaurizzazione
nonostante una politica monetaria molto “accomodante” (con misure come il Quantitave
easing). Anzi l’incertezza può aggravare la “trappola della liquidità” (il
fenomeno in base al quale la politica monetaria non riesce a esercitare alcuna
influenza sulle scelte degli agenti economici).
Di grande rilievo, anche se forse
sottovalutato in Italia, quanto avvenuto nella capitale del Mali (Paese che dal
lontano 1969 ho visitato varie volte): indica che anche dall’Africa
subsahariana confitti secolari di natura etnica o di scontri tra “regni” e clan
locali stanno prendendo una piega decisamente anti-europea , prima ancora che
anti-occidentale.
A queste tensioni dal Medio Oriente
e dall’Africa subsahariana si aggiunge la notizia della settimana scorsa del
probabile aumento dei tassi Usa. L’organo di governo della politica
monetaria Usa (il Federal Open Market Committee-Fecom) dispone ormai delle
analisi per decidere se aumentare o meno i tassi d’interesse alla riunione
convocata per il 15-16 novembre. Le Borse, soprattutto Wall Street, già brindano
in attesa di un incremento: del resto gli ultimi sei episodi di restrizioni
finanziarie (in trent’anni) sono stati un toccasana per la finanza perché hanno
visto ampliarsi i margini delle banche (le principali beneficiarie) e
deprezzarsi il dollaro (stimolando, tramite l’export, l’economia reale).
Mentre per gli Usa l’aumento dei
tassi (da livelli rasoterra) certifica un rilancio dell’economia reale ben
avviato, nell’eurozona l’incremento dei tassi Usa presenta alcuni pericoli.
Intanto, la fuga di capitali verso un mercato finanziario più redditizio e
l’eventualità che la Banca centrale europea debba “adeguarsi” almeno in parte
per frenare la fuoriuscita di capitali. Poi possibili crisi nei Paesi emergenti
dove negli anni dei tassi bassi il credito bancario, in gran misura in dollari
Usa e a tassi variabili, è cresciuto dal 75% al 110% del Pil, con riflessi
negativi sull’export europeo. L’Europa si troverebbe così a dover limitare o
forse cessare le misure straordinarie di aumento della liquidità, il Quantitative
easing iniziato lo scorso gennaio (la Federal Reserve lo attua, in dimensioni
ben maggiori, sin dagli ultimi mesi del 2008), che alla riunione del Consiglio
Bce del 3 dicembre (o più tardi del 16 dicembre) sarà comunque sottoposto a
verifica.
Dal 2008, mentre le aziende quotate
a Wall Street hanno aumentato gli utili dell’83% e i multipli di Borsa sono
cresciuti del 52%, nell’Eurozona i profitti aziendali sono diminuiti del 14% e
i multipli di Borsa aumentati del 115%. A fronte di una situazione sana negli
Usa, quella europea può preludere allo sgonfiamento di una bolla non appena
interviene un elemento nuovo. Con inevitabili impatti su economia reale e,
dunque, finanza pubblica. Deprimendo la prima e aumentando il rischio di
sforamento dei saldi della seconda.
Chiedere, e ottenere, una deroga al
Fiscal compact a ragione delle “circostanze eccezionali” darebbe un
respiro di breve (anzi brevissimo) periodo, ma aggraverebbe il debito pubblico
che minaccia comunque di essere appesantito dal prevedibile aumento dei tasso
d’interesse Usa. Pure se l’Unione europea mostrasse “flessibilità” in materia
di debito, da un lato, è difficile che i mercati internazionali facciano atto
di clemenza, e, da un altro, l’eventuale clemenza dei mercati non eviterebbe la
conseguenza maggiore dell’incremento del rapporto tra debito e Pil: il freno ai
presagi di crescita.
Ragazzi, al lavoro, per una Legge di
stabilità bis.
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