OPERA/ The Bassarids di Hans Werner Henze: smoking, felpe e dieci minuti di
ovazioni
Pubblicazione: domenica 29 novembre 2015
Foto di Yasuko Kageyama
NEWS ROMA
Smoking, ma anche felpe e giacchette
sportive (con imbottite dato il freddo polare), poco visibili i ‘generoni’
romani, bellissima in sobria eleganza Raina Kabiavanska, in abito scuro (senza
farsi notare, e per questa ragione entrato ed uscito da porta laterale) il
‘melofilo’ Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, molti
ragazzi e ragazze nelle file laterali della platea, silenzio assoluto di grande
tensione durante le due ore della ‘tragedia in un atto’ The Bassarids di
Hans Werner Henze (su libretto di W.H Auben e Chester Kallman tratto da Le
Baccanti di Europide), orchestra straripante nelle barcacce di platea, sino
al vero e proprio scoppio di dieci minuti di ovazioni.
Qualcosa è davvero cambiato al
Teatro dell’Opera di Roma, la cui stagioni 2015-2016 è stata inaugurata il 27
novembre, con un’opera raramente rappresentata in Italia, commissionata
cinquanta anni fa dal Festival estivo di Salisburgo e, in aggiunta, basata non
sul solito intreccio romantico (del tipo il tenore porta il soprano sotto le
lenzuola ed il baritono si inalbera) ma su un confronto-scontro
filosofico-religioso. In altra sede, ho illustrato il significato concettuale
de Le Baccanti di Euripide (morto solo pochi mesi dopo la messa in scena
della tragedia), la cui trama è seguita abbastanza fedelmente da W.H Auben e
Chester Kallman. In questa nota, ritengo utile soffermarmi sull’esecuzione.
E’ necessaria una precisazione. In
primo luogo, Henze è, con Britten, uno dei due compositori che riuscirono
nell’intento di rendere fruibile al grande pubblico il teatro in musica che
conteneva le innovazioni del Novecento (dalla dodecafonia della seconda scuola
di Vienna al minimalismo americano, passando per le dissonanze straussiane). In
secondo luogo, The Bassarids (la cui versione originale è in
inglese come presentata a Roma) non è un lungo atto unico come quelli, ad
esempio, di Strauss o Zemlinsky ma una sinfonia scenica in quattro movimenti
poiché azione scenica e musica si snodano in quattro parti, senza cesura di
continuità, come in una sinfonia per il teatro quale La Damnation de Faust di
Hector Berlioz.. Aspetti tradizionali dell’opera lirica – arie, cori,
concertati – sono perfettamente integrati nella struttura sinfonica in cui il
primo movimento è una sonata, il secondo uno scherzo, il terzo un andante, il
quarto è un tema di ben 43 note che si snoda in una passacaglia finale. A
differenza di altre opere di Henze , The Bassirids risente
dell’esperienza post-wagneriana.
Veniamo all’esecuzione musicale.
Stefan Soltesz è uno dei rari direttori d’orchestra in grado di dirigere la
complessa partitura che nel 1966 a Salisburgo venne concertata da Chrystoph von
Dohnâni. Ne esiste un ottimo cd dal vivo della Orfeo così come una registrazione
in studio di Gerd Albrecht. La prima è del 1966 in traduzione ritmica in
tedesco ed include un intermezzo settecentesco, successivamente eliminato da
Henze in quanto interrompeva le tensione drammatica.
La versione diretta da Albrecht è
quella che si ascolta al Teatro dell’Opera di Roma. Richiede un organico
grandioso , analogo a quelli post-wagneriani della prima metà del secolo
scorso, e comporta un grande equilibrio tra palcoscenico e golfo mistico e
difficili ruoli per i fiati e gli ottoni. Stefan Soltesz e l’orchestra ed il
coro dell’Opera di Roma hanno eseguito la partitura con vera maestria.
Il cast vocale è internazionale Ladislav Elgr (Dionysus), Russell
Braun (Pentheus), Mark S. Doss (Cadmus), Erin Caves ( Tiresias), Andrew
Schroeder (Capitano della guardia reale), Veronica Simeoni (Agave), Sara
Hershkowitz (Autonoe) e Sara Fulgoni (Beroe). Tutti di grande livello. Spicca
il lungo duetto tra Ladislav Elgr (tenore dalla tessitura acuta) , Russell
Braun (baritoni). Ottima Veronica Simeoni in un ruolo sgradevole (sbrana il
proprio figlio Pentheus).
In una scena unica, la regia di Mario Martone (scene di Sergio
Tramonti, costumi di Ursula Patzak) si svolge su due piani, quello individuale
degli istinti personali e quella “sociale” delle leggi di Pénteo, al tempo
stesso Re e uomo razionale. L’ambientazione è uno stato dittatoriale nel
Novecento. Ha idee brillanti: come quella di trasportare il mondo di Dionysus
in una cava che si apre in scena. Ma, a mio avviso, è troppo cupa dall’inizio
alla fine, mentre la partitura ha passaggi luminosissimi.
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