martedì 24 novembre 2015

Che cosa lega il terrore in Mali alla Libia In Formiche 24 novembre



Che cosa lega il terrore in Mali alla Libia

Che cosa lega il terrore in Mali alla Libia
Non posso dire di essere uno specialista degli avvenimenti recenti a Bamako. Tuttavia, nella mia vita professionale ho avuto modo di conoscere il Mali a fondo, di balbettare un po’ di “bambara”, la lingua franca locale. Il mio primo soggiorno di due mesi fu nell’aprile-maggio 1969, quando avevo 27 anni, e ne sono seguiti numerosi altri.
Sono rimasto un po’ sorpreso dei commenti apparsi su testate italiane, in particolare sul nesso che ci sarebbe tra gli attentati a Parigi e quelli all’Hotel Radisson di Bamako, la capitale del vasto Paese (un territorio di 1.240.142 km²) con appena 15,5 milioni di abitanti. A mio avviso, l’attacco all’Hotel Radisson ha un obiettivo preciso ed è bloccare lo sviluppo del Paese. In effetti, le vittime sono state mirate con attenzione: alti dirigenti di una compagnia ferroviaria cinese che stavano approntando un programma per modificare una rete rimasta agli Anni Cinquanta, sei russi di una compagnia aerea che stavano negoziando un ammodernamento del servizio di cargo, rappresentanti di compagnie petrolifere, esperti di minerali (fosfati, oro, uranio, ferro, bauxite, manganese). Risorse di cui il Paese dispone in abbondanza, ma le cui rudimentali infrastrutture ne hanno impedito lo sfruttamento. Tra le vittime, quasi scelte una ad una non a casaccio, sparando all’impazzata, come a Parigi ed altri attentati di matrice jihadista. Non che nel Mali manchino gruppi jihadisti, come quello (Al Muorabtoun), guidato dall’algerino orbo di un occhio Mokhtar Belmokthar.
LA STORIA DEL PAESE
Tuttavia, occorre situare l’attentato in un contesto più vasto. In primo luogo, il Mali nasce con il nome attuale con l’indipendenza nel 1960. Precedentemente, in epoca coloniale, era chiamato Sudan francese, così come il resto del territorio che giunge al Golfo Persico ed all’Oceano indiano aveva il nome di Sudan (in certe fasi di Sudan Inglese) ed è stato soggetto ad un condominio anglo-egiziano. Chiamare il Paese “Mali” voleva dire riallacciarlo ad un antico Impero che aveva il proprio centro culturale a Timbuktu, punto di passaggio di carovane, grande mercato e soprattutto sede di una importante università di cui nel 1969 si vedevano ancora segni degli antichi fasti. Nell’ambito dell’Impero, albergavano Regni (ricordo incontri con il Re dei Dogon, montanari di piccola statura e raffinati scultori di statue di legno, appollaiati nelle montagne al confine con quello che ora si chiama Burkina Faso). Al pari del Sudan del condominio anglo-egiziano, si trattava di un Impero molti-etnico con comunità africane, arabe e berbere. Sovente i vari Regni erano in guerra tra loro; chi perdeva diventava preda del vincitore che a sua volta vendeva i prigionieri ai portoghesi nell’isola di Gorée, dove si visitano ancora le prigioni di chi era destinato ad affrontare la traversata atlantica, di fronte a Dakar. Dopo l’indipendenza, il Mali lasciò la comunità franco-africana e si schierò sino al 1968 con la Russia e la Cina.
DELICATI EQUILIBRI TRA REGNI ED ETNIE
Il mio primo contatto con il Mali nel 1969 era come parte di una missione di venti persone della Banca Mondiale per studiare l’economia di un vasto Paese di cui si sapeva ben poco. Nel colonialismo francese, i vari Regni restarono in vita ed a loro vennero affidati compiti specifici (quali amministrazione della giustizia per vertenze di importanza locale, celebrazione di matrimoni, tenuta di registri embrionali di stato civile). Dopo l’indipendenza, le neonate Repubbliche presidenziali non solo mantennero in vita i Regni ma le leadership politiche (ed i Parlamenti) si basavano su delicati equilibri tra Regni ed etnie. Nel caso specifico del Mali, solo nel periodo filosovietico e filocinese (che portò ad un disastro economico), il Governo centrale tentò di controllare Regni ed Etnie. Senza, peraltro, averne successo.
OCCUPAZIONI, COLPI DI STATO E TERRORISMO
Dopo un periodo di relativa tranquillità, la scoperta progressiva di risorse minerarie ha riacceso controversie e polemiche secolari. Negli ultimi travagliati anni, il Mali ha avuto un colpo di Stato, una presa di potere jihadista, un’occupazione militare francese, e un massiccio intervento delle Nazioni Unite. Nel 2012, gruppi di Al Qaeda conquistarono il Nord per nove mesi. Il modo di governare e le distruzioni sono ben documentate nel film Timbuktu che si è visto circa un anno fa, un capolavoro realizzato dal massimo regista africano Abderrahmane Sissako. Le truppe francesi riuscirono a cacciare i gruppi di Al Qaeda, ma il vuoto di potere lasciato a nord del Mali dal caos in Libia. Muammar Gheddafi ha sempre esercitato un’influenza di “garante dell’equilibrio”, pur fragile precario, in Mali, ha dato nuovo impulso a gruppi di matrice Al Qaeda. E lo sviluppo economico è il peggior nemico di Al Qaeda, che a differenza del Califfato non si erge a potere statale che vuole riportare il mondo mussulmano agli antichi fasti e primati di secoli fa.
Cosa prevedere? È difficile ipotizzare un nuovo intervento dei parà francesi per porre ordine ed insediare, se del caso, un governo fantoccio. Ne mancano le risorse. È arduo immaginare nuovi tentativi delle Nazioni Unite per giungere a qualche forma di equilibrio. Occorre sperare che i numerosi gruppi etnici del Mali vedano i pericoli di una presa di potere di Al Qaeda e si auto-organizzino come hanno fatto in varie occasioni (ad esempio nel 1968 quando misero alla porta la dittatura marxista). E situare, con un mea culpa, i problemi del Mali tra gli effetti collaterali del mal concepito intervento in Libia.

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