mercoledì 11 novembre 2015

Perché le spending review falliscono in Formiche 11 novembre



Perché le spending review falliscono
Perché le spending review falliscono
Dopo l’ultima defezione in pochi anni – ma i primi tentativi organici di spending review vennero fatti all’inizio degli Anni Ottanta dal governo Craxi- occorre chiedersi cosa blocca in Italia i tentativi di revisione della spesa.
In primo luogo, dati alla mano, occorre ricordare che nella breve età della ventata di liberismo quando Ronald Reagan e Margaret Thatcher erano rispettivamente alla guida degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, i livelli di spesa in percentuale del Pil restarono sostanzialmente invariati in ambedue i Paesi, nonostante le forti riduzioni alla pressione tributaria, le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Lo documenta bene Paul Pierson, uno degli storici dell’economia che ha meglio analizzato quel periodo nei due Paesi.
In secondo luogo, ha ben sottolineato Piero Giarda (uno dei protagonisti, in passato, delle spending review italiane) che un lavoro di revisione della spesa può essere effettuato unicamente in una prospettiva di lungo periodo, non avendo come obiettivo temporale la prossima Legge di stabilità o la formulazione del prossimo bilancio dello Stato. Lo mostra indirettamente l’esperienza francese dove il programma di razionalizzazione delle spese di bilancio venne effettuato, negli Anni Ottanta, su un arco di oltre un lustro avendo come obiettivo quello di giungere all’accordo franco-tedesco chiamato il Patto del Louvre che pose fine alle periodiche svalutazione del franco francese nell’ambito dell’accordo europeo sui cambi (chiamato giornalisticamente SME) e stabilì una parità fissa tra le monete dei due Paesi.
In terzo luogo, deve essere compito non straordinario ma immanente e permanente delle amministrazioni dello Stato. Nel suo saggio, a termine del suo mandato di Direttore del Bilancio dell’Amministrazione Reagan David Stockman nonché la già citata esperienza francese degli Ottanta. In Italia, dovrebbe avere il proprio cuore nella Ragioneria dello Stato, RGS (con un ufficio studi come pensato alcuni anni fa) ma con nuclei in tutte le amministrazioni centrali e nelle Regioni; gli uffici della RGS presso Ministeri e Regioni potrebbero essere la rete di collegamento tra i vari gruppi ed assicurare uniformità di metodo e procedure. Formulai una proposta del genere circa trent’anni fa. Non venne recepita. E’ riassunta in un mio libro ‘Spesa Pubblica e Bisogno di Inefficienza’ pubblicato da Il Mulino nel lontano 1987.
Cosa c’è alla base del ‘bisogno di inefficienza’ della spesa pubblica? Facciamo un salto di trent’anni. In un saggio pubblicato su Economic Affairs (Vol. 36, No. 3, pp. 349-365, 2015), due docenti dell’Università di Bologna, Gianluca Pelloni e Marco Savioli, si chiedono Why Italy is Doing so Badly? (Perché l’Italia va così male?). A loro avviso, i dati mostrano “una fase di declino sistemico di grandi dimensioni”. “Il sistema Italia” ha abbandonato – aggiungono – una visione dinamica dei vantaggi comparati, visione cruciale per una crescita sostenibile. Ha invece optato per una visione statica di specializzazione. La “distruzione creativa” schumpeteriana è stata bloccata; vige la friedmaniana “tirannia dello status quo”; non c’è stata una ristrutturazione dell’economia. Alle radici di questi problemi – concludono – c’è un contratto implicito tra le élite e la società civile. Un factum sceleris, un vero e proprio “patto scellerato” per dare contentini a tutti, che si traduce in alta spesa pubblica difficile da comprimere, alto debito pubblico e stagnazione. Se non si prende questo torno per le corna, dubito che future spending review abbiano maggior successo delle precedenti.

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Alessandra Sardoni e Stefano Feltri
Stefano Feltri
Yoram Gutgeld

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