Una burocrazia troppo lenta e
inefficace Così il «grimaldello» europeo rischia di lasciare il nostro Paese a
bocca asciutta
GIUSEPPE PENNISI
Idocumenti ufficiali sul 'Piano Juncker'
- essenzialmente i quelli all’esame del parlamento europeo - affermano che il
programma, ancora in costruzione, è un grimaldello: attivare con una leva di 21
miliardi di 'garanzie' (non di finanziamenti diretti) di Commissione europea
(Ce) e Banca europea per gli investimenti (Bei) un totale di 315 miliardi di
euro. Come tutti i grimaldelli, ha virtù o opportunità apre le 28 scatole dei
piani d’investimento degli Stati Ue - ma anche vizi o rischi: mostra quali
scatole sono piene e quali vuote e quali potrebbero essere piene se i vincoli
del Fiscal Compact non mettessero a repentaglio fondi di contropartita,
a valere sui conti dei singoli Stati per arrivare la finanza privata.
Per l’Italia, da un lato, il
'grimaldello' minaccia di mostrare che quasi nessuna amministrazione ha
ottemperato ai decreti legislativi 102 e 228 del 2011 di adeguamento alla
normativa europea, con i quali si richiedeva una programmazione pluriennale per
progetti esecutivi corredati da analisi economica e finanziaria. Di conseguenza,
in una gara in cui i progetti non sono allocati per Paese ma scelti da un
comitato di investimenti in base alla loro qualità e cantierabilità, rischiamo
di restare a bocca asciutta. O quasi.
Al tempo stesso, però, il
'grimaldello' all’esame del parlamento si pone sul solco di una maggiore
'flessibilità' nella lettura dei trattati europei e di accordi intergovernativi
quali il Fiscal Compact.
Già a dicembre - a causa del periodo
natalizio pochi se ne sono accorti - una comunicazione della commissione chiariva
che per investimenti di rilevanza europea i contributi diretti dei paesi al
Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (il fulcro del Piano Juncker) non
saranno 'computati' ai fini della procedura per deficit eccessivo e che la
commissione terrà conto dei cofinanziamenti nazionali ai programmi europei nel
valutare i progressi verso il pareggio strutturale, consentendo 'deviazioni
temporanee', ma solo se l’economia è in recessione e sia rispettato il tetto
massimo del 3% nel rapporto deficit/Pil. Una nuova 'comunicazione' ha iniziato
il proprio percorso; potrebbe essere emanata prima dell’estate. È possibile un
ulteriore ampliamento dell’interpretazione nell’ambito di un approccio
coordinato di Bei (al centro del sistema) e banche nazionale di sviluppo e di
promozione degli investimenti. In particolare, le 'deviazioni' potrebbero
diventare pluriennali (dato che tali sono gli investimenti), il tetto del 3%
ammorbidito e con esso anche la clausola che ora richiede un 'economia in
recessione'.
È un’opportunità importante per
l’Italia, sempre che si sia in grado di allestire un adeguata platea di
progetti. Altrimenti l’opportunità verrà colta principalmente da Germania ed
Austria che hanno disperato bisogno di infrastrutture (principalmente nel
comparto dei trasporti) e progetti pronti. Come ben sa chi si avventura sulle
loro autobahn e sui loro treni.
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Da noi
nessuna amministrazione ha ottemperato ai decreti di adeguamento alla normativa
europea per preparare un programma di progetti
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