LE LIBERALIZZAZIONI TIMIDE
Giuseppe
Pennisi
Il 2015, definito Anno Felix, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dovrebbe
essere caratterizzato da una crescita economica ben superiore allo 0,1% segnato
nel primo trimestre e sorretta da un programma aggressivo di riduzione del
debito pubblico (tramite privatizzazioni) e di aumento della produttività
(tramite crescente concorrenza derivante da liberalizzazioni),
Di privatizzazioni ci occuperemo quando
il programma e la sua attuazione saranno meglio definite. Il disegno di legge
(ddl) sulla concorrenza, e quindi sulle liberalizzazioni, è stato varato a fine
febbraio; quando questa mensile arriva in edicola, sarà all’esame del
Parlamento. Al carattere del Presidente del Consiglio si possono attribuire tanti
tratti ma non certo la timidezza. Tuttavia, il ddl in questione è più ‘timido’
delle ‘lenzuolate’ di bersaniana memoria di una diecina di anni, nonostante
l’aggravarsi della situazione in questo lasso di tempo. Principalmente se la
situazione italiana è comparata con quella dei nostri competitors europei (non parliamo di quelli dell’Emisfero
Occidentale o dell’Asia).
Non ci riferiamo neanche ad inchini come
quelli alla lobby dei taxi. E’
sufficiente pensare che nel campo dei servizi pubblici locali lo stesso
Ministero dello Sviluppo Economico (non certo un covo di liberisti) aveva
chiesto che non ci fossero più enti (come le autorità portuali) al tempo stesso
regolatori e fornitori di servizi (da loro stessi regolari) . In materia
sanitaria, il Ministero della Salute (non affiliato a nessuna istituzione
liberale) aveva proposto accreditamento periodico, e concorsuale, delle
strutture sanitarie private e la liberalizzazione della vendita dei medicinali
di fascia C. Piccoli passi verso una maggiore concorrenza, ma tali da
imbarazzare il timido Presidente del Consiglio.
Non si può che suggerirgli la lettura di
un’analisi condotta da dieci centri studi europei e coordinata dal piccolo ma
dinamico centro studi italiano ‘ImpresaLavoro’
e di organizzare un seminario del Partito Democratico (pare sia prassi) al fine
di preparare un maxi-emendamento prima della conclusione dell’iter parlamentare
del ddl. Lo studio riguarda principalmente la libertà fiscale, che sintetizza il complesso delle altre libertà
economiche che agevolano o frenano l’impresa (e quindi l’occupazione).
Gli istituti hanno lavorato seguendo la
medesima metodologia ed hanno computato un Indice
della libertà fiscale sulla basa di quattro distinti indicatori: le
dimensioni della tassazione complessiva rispetto alla produzione annuale; il
modo in cui il prelievo fiscale colpisce lavoro, capitale e consumi; la
complessità degli ordinamenti e, di
conseguenza, il tempo e le risorse che imprese e famiglie devono destinare
all’assolvimento degli obblighi di legge; la decentralizzazione del prelievo e,
al tempo stesso, l’autonomia dei vari livelli di governo. La liberalizzazione
(oppure la mancanza di liberalizzazione) e sottointesa in ciascuno dei quattro
indici. L’Italia non esce affatto bene : con un total tax rate del 65,4% siamo alle prese con un moderno Leviatano, cui pare persino
difficile opporsi e con cui l’opinione pubblica sembra ormai rassegnata a
convivere. Si potrebbe rispondere che la delega fiscale a cui Governo
e Parlamento stanno lavorando potrebbe curare questi problemi tributari.
Tuttavia, chiunque abbia compiuto un minimo di studi economici sa che la
liberalizzazione e la concorrenza sono gli unici strumenti per quella crescita
che sola può permettere la riduzione dell’oppressione fiscale.
Un quarto di secolo fa, l’allora Vice
Direttore Generale della Banca d’Italia Pier
Luigi Ciocca , sempre
culturalmente contiguo al centro sinistra ,
nella prefazione alla raccolta di saggi ‘Disoccupazione
di Fine Secolo’ (Bollati Boringhieri,1997 documentava che in mondo in cui il Nord
America ha un carico tributario attorno al 30% del Pil ed i Paesi asiatici
emergenti del 20% del Pil, con il nostro 46% di allora rischiava
un declino
sempre più grave e la disoccupazione di massa sempre più lunga.
Neanche i suoi amici con responsabilità
di governo lo hanno ascoltato.
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