L’ultima regia di Ronconi all’opera di Roma
26 - 03 - 2015Giuseppe Pennisi
Il sipario del Teatro dell’Opera di
Roma si alza sull’ultima regia di Luca Ronconi: Lucia di Lammermoor. La
“prima” di martedì 31 marzo, ore 20, sarà trasmessa in diretta su Rai
Radio 3. Era la prima volta che il regista si confrontava con
l’opera di Donizetti. Il suo progetto verrà realizzato dai collaboratori storici:
Gianni Mantovanini (luci), Gabriele Mayer (costumi), Margherita Palli (scene),
Ugo Tessitore (regia).
Sul podio dell’Orchestra del Teatro
dell’Opera di Roma il Maestro Roberto Abbado. Maestro del Coro Roberto
Gabbiani. La famosa scena della pazzia verrà eseguita nella versione con
Glasharmonika (armonica a bicchieri), un evento che rispecchia scrupolosamente
la scrittura di Donizetti ma molto raro; è stato ingaggiato dall’estero uno
specialista. Nel ruolo di Lucia ascolteremo il soprano Jessica Pratt e per una
replica Maria Grazia Schiavo (10 aprile), interpreti di Edgardo i tenori
Stefano Secco e José Bros (10 aprile). Ancora nel cast vedremo il baritono
Marco Caria (Enrico), Alessandro Liberatore (Arturo), Carlo Cigni (Raimondo),
Simge Büyükedes (Alisa) e Andrea Giovannini (Normanno).
Jessica
Pratt e il Maestro Abbado ®Yasuko Kageyama
Ugo
Tessitore durante le prove della Lucia di Lammermoor ®Yasuko Kageyama
Un momento
delle prove della Lucia di Lammermoor
Jessica
Pratt e il Maestro Abbado ®Yasuko Kageyama
Ugo
Tessitore durante le prove della Lucia di Lammermoor ®Yasuko Kageyama
Un momento
delle prove della Lucia di Lammermoor
Jessica
Pratt e il Maestro Abbado ®Yasuko Kageyama
Ugo
Tessitore durante le prove della Lucia di Lammermoor ®Yasuko Kageyama
Un momento
delle prove della Lucia di Lammermoor
“Portare in scena e far vivere il
progetto per la Lucia di Lammermoor che Luca Ronconi aveva ideato, e già
definito, per il nostro Teatro è un dovere e credo sia il migliore omaggio e il
miglior ricordo che possiamo fare a Luca Ronconi”, ci ha detto il
sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Carlo Fuortes. Il regista Ugo
Tessitore ha chiarito come sia stato possibile portare in scena il progetto di
Ronconi: “Abbiamo lavorato molto assieme, influenzandoci e verificandoci l’uno
con l’altro, coordinandoci come una squadra affiatata. In quei giorni d’agosto,
a Pesaro, mi ha espresso un’idea che voleva realizzare – spiega Tessitore –
ovvero che Lucia tornasse dopo essere morta, che tornasse viva dopo il
compianto del suo innamorato. La scena è una prigione, ma anche un monastero, una
fortezza, un manicomio: quello che qualche anno fa si definiva «istituzione
totale». Per questo non possono esserci né piante né fiori: è un universo
concentrazionario”.
Tratta da uno dei romanzi
storico-romantici dello scozzese Walter Scott, di cui La Pléiade ha appena
pubblicato la collezione integrale (anche se in Italia è noto solo per le
edizioni hollywoodiane e televisive di “Ivanohe”, messa in musica, tra l’altro,
in un ‘centone’ di Gioacchino Rossini rappresentato alcuni anni fa al festival
di Martina Franca), Lucia rappresenta un anello di transizione essenziale dal
melodramma di inizio Ottocento a quello verdiano. Da un lato, l’orchestra evoca
l’atmosfera delle brume scozzesi in un notturno quasi infinito (al pari di
quanto avviene nel capolavoro rossiniano ispirato ad un altro lavoro di Scott,
La donna del lago).
Da un altro, le parti vocali
richiedono grande maestria: vennero scritte per Gilbert-Louis Duprez, il tenore
che ha inventato il “do di petto”, Fanny Persiano, un soprano, al tempo stesso,
dalla vocalità leggera e dalla coloratura raffinatissima, e Domenico Coselli,
baritono agilissimo.
‘Lucia’ è un apologo di potere bruto che vede protagonisti uomini guerrieri coinvolti in continue violenze e questo stesso mondo di violenza maschile opprime, schiaccia l’innamorata Lucia, appena orfana di madre, salvata dall’amato Edgardo da un letale violento toro.
‘Lucia’ è un apologo di potere bruto che vede protagonisti uomini guerrieri coinvolti in continue violenze e questo stesso mondo di violenza maschile opprime, schiaccia l’innamorata Lucia, appena orfana di madre, salvata dall’amato Edgardo da un letale violento toro.
Nella maggior parte dei numerosi
allestimenti dell’opera che sono stati proposti sui palcoscenici di tutto il
mondo, Lucia è predisposta alla follia fin dalla prima entrata. Non è affatto
folle fin dal principio, ma al contrario una persona piena di emozioni giuste,
umane, sane, anche se fragile. Lucia è in pieno possesso della sua vita
empatica, ammette il dolore, conosce l’amore e lo vive emotivamente, la gioia
che Donizetti sottolinea con tutta l’introduzione dell’arpa, le angosce più
profonde del nostro essere e, contrariamente a suo fratello, lei vive queste
emozioni. Enrico è morto in quanto odia se stesso e gli altri, segue
esclusivamente le logiche del potere ed è quindi determinato dall’esterno, non
ha una vita interiore come Lucia.
La musica di Donizetti fa emergere
di battuta in battuta una differenza evidente e abissale tra il mondo femminile
di Lucia fatto di un susseguirsi continuo di diversi sentimenti, amore ed
emozioni e quello unilaterale maschile dove trionfano quasi unicamente la
smania di potere, di guerra (quindi di distruzione) e l’odio. Le musiche del
mondo di Enrico sono spesso marce o musiche cupe. Enrico è infelice, odia se
stesso, non conosce l’amore, non ha una donna, non soffre per la morte della
madre e ne parla soltanto in una battuta cinicamente. Si potrebbe anche dire
che ciò che sembra essere normale sia in realtà la vera follia.
Enrico, Raimondo, Normanno e in
parte anche Edgardo sono personaggi deformati con grandi mancanze emotive.
Lucia rimane sorpresa e quasi scioccata dal primo incontro con l’amato Edgardo:
si frequentano da molto tempo anche se di nascosto, ma finora non lo aveva mai
conosciuto come uomo di potere, e ignorava il suo odio. La protagonista viene
poi condotta alla follia da giochi di potere e inganni ad esso legati. Il
culmine dell’opera è la famosa scena della follia che viene sempre
rappresentata seguendo i cliché di quello che noi pensiamo sia folle con strani
gesti e atteggiamenti gratuiti che non arrivano in nessun modo al vero nucleo
di quanto accade con Lucia.
È sorprendente che Cammarano e
Donizetti la facciano parlare di Edgardo pur avendo appena assassinato Arturo.
Lucia assassina parla con amore di Edgardo. C’è una sola spiegazione a questa
scelta drammaturgica: in verità Lucia è stata spinta alla schizofrenia. Si è
ribellata ai giochi di potere esterni a lei, ammazzando Arturo per salvare
dentro di sé la sua vera vita emozionale, cioè l’amore verso Edgardo.
In questa edizione, Lucia arriva in
scena con il cadavere di Arturo, ma per lei questo morto diventa in una
proiezione psicologica il simbolo del suo amore per Edgardo. Tutta la scena
(come dimostra la musica) è piena d’amore. Tutti rimangono scioccati e quasi
pietrificati (Donizetti non fa più cantare né il coro né Raimondo): Lucia
riesce a realizzare il suo vero amore solo con il morto Arturo. Anche se è
presto per emettere un parere: la scena unica ed i costumi (in nero per gli
uomini ed in bianco per le donne) suggeriscono che Ronconi darà una lettura
molto simile a quanto riassunto.
Portare Lucia in scena una sfida per
una ragione specifica connessa alla “tradizione” italiana. Nelle edizioni in circolazione
dalla seconda metà dell’Ottocento vengono operati tagli copiosi (quasi un terzo
della partitura), principalmente nei ruoli maschili; la vocalità della
protagonista veniva portata a soprano drammatico.
I tagli hanno l’effetto di
imperniare tutta l’opera su Lucia, dimenticando che si svolgono due azioni
parallele: una tra i quattro uomini (Edgardo, Enrico, Arturo e Raimondo) e
l’altra tra l’aspro mondo maschile (dove le fanciulle, pure le sorelle, sono
oggetto di compravendita) e quello della fragile Lucia, tanto debole da
diventare assassina e pazza non appena l’uomo a cui è stata venduta (Arturo) si
abbassa i pantaloni per avere ciò che ha pagato. La Lucia tagliata della
“tradizione” è un romanzetto romantico, invece del doppio dramma parallelo.
Circa tre lustri fa, Zubin Metha e
Graham Vick portarono una Lucia quasi integrale al Maggio Musicale Fiorentino e
al Grand Théatre di Ginevra. Operazione coraggiosa che a Firenze, però, non
venne approvata dal pubblico. Lo spettacolo è poi approdato al Costanzi di Roma
e in altri teatri della Penisola. In un’edizione di successo, premiata al
debutto a Cagliari, e vista anche a Parma, l’opera (regia, scene e costumi di
Denis Krief) era quasi integrale e si svolgeva in una Scozia atemporale e
marina (i costumi sono di metà Novecento- forse il periodo della guerra di
Spagna data la foggia delle uniformi).
Di notevole impatto anche,
l’edizione Svoboda-Brockhaus, contemporanea a quella di Mehta-Vick. Ci sono,
però, differenze sostanziali sia nella regia sia nel trattamento musicale. Vick
utilizzava una scena unica (un grigio soffocante interrotto da cespugli rosa,
ed una grande luna piena) ed una chiara collocazione temporale. La versione
Svoda-Brockhaus si rivista, pur se ‘ripensata’ dal regista per portarla dallo
Sferisterio a palcoscenici di ‘teatri di tradizione’ al chiuso, si è rivista un
paio di anni fa quando ben a ben otto teatri (il circuito lombardo, il circuito
marchigiano e il teatro Alighieri di Ravenna) .
La versione di Luca Ronconi e dei
suoi collaboratori si differenzia da tutte queste citate: la scena unica , i
costumi neri degli uomini e bianchi per le donne suggeriscono una lettura
introspettiva, tutta psicologica.
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