L’Italia e il gioco ad ultimatum della Grecia con l’Ue
12 - 03 - 2015Giuseppe Pennisi
Lo avevamo previsto, su Formiche.net, dopo le
elezioni in Grecia e l’apertura di nuove trattative tra Atene e le istituzioni
internazionali. Nel “gioco a due livelli” tra i partner dell’UE si sarebbe
prima o poi arrivati ad un “gioco ad ultimatum”. Ricordiamo di cosa si tratta.
All’inizio degli Anni Ottanta, furono un libro ed alcuni saggi di Piercarlo Padoan
(scritti a quattro mani con Paolo
Guerrieri, ora senatore del Pd, entrambi professori alla
Università Sapienza di Roma) a portare in Europa questa teoria, che allora
stava facendo i primi passi negli Usa. Padoan e Guerrieri ne divennero “capi
scuola”. In sintesi, nell’eurozona è in corso un gioco a più livelli in cui
ciascuno dei partecipanti deve massimizzare obiettivi di “reputazione” e di
“popolarità” differenti (e in certi casi divergenti) di fronte alle altre parti
in causa. Tutti devono mantenere una buona reputazione rispetto agli altri soci
dell’eurozona e presentarsi come convinti assertori della moneta unica. In
termini di popolarità, però, ciascun partner risponde alla propria opinione
pubblica.
I “falchi” devono massimizzarla nei riguardi, ad esempio, di quel
73% di tedeschi che secondo gli ultimi sondaggi sarebbero «stanchi e stufi»
della Grecia. Le “colombe”, invece, non possono non prendere l’affaire Grecia
come strumento per andare verso l’unione monetaria più flessibile chiesta da
movimenti che risultano vincenti alle elezioni. E la Grecia? Il governo in
carica sa che la propria popolarità dipende un elettorato arrabbiato a cui
occorre rispondere.
La teoria indica in sistemi di equazioni gli strumenti per trovare
la soluzione. Su Formiche.net è stata anche delineata una
soluzione che avrebbe potuto salvare capre e cavoli. Tuttavia, nella prima
fase, la trattativa pareva essere andata meglio del previsto. Dopo un inizio
duro, anzi durissimo, del Presidente del Consiglio greco, e soprattutto del suo
pittoresco ministro delle finanze greco-texano, con la mediazione di Francia e
soprattutto d’ Italia, si è arrivati ad un compromesso: un rinvio di quattro
mesi al pagamento delle scadenze del debito greco (altrimenti si sarebbe andati
dritti dritti al default ) e l’impegno a presentare un piano
realistico di riassetto strutturale dell’economia.
Il “piano”, prima di 14 e poi di 7 punti, non solo è vago ma ha
aspetti risibili, tra cui l’ingaggio a titolo volontario di studenti e turisti
per denunciare nella lotta contro l’evasione tributaria, bar, ristoranti,
alberghi e negozi che non rilasciano lo scontrino fiscale. Tutto ciò mentre
all’aeroporto del Pireo partono ricchi greci con valige piene di banconote
(nella convinzione che tra breve la Grecia lascerà, volente o nolente, la
moneta unica e il nuovo conio subirà uno forte svalutazione; è stato preso con
le mani nel sacco lo stesso ex-Ministro del Finanze (del Governo Samaras) Gigas Horduvelis.
Dopo averlo adombrato nei primi giorni del negoziato, ora Tsipras
e Varoufakis hanno utilizzato quella che pensano essere l’arma fatale: un
“gioco ad ultimatum” (quale quello tra Don Giovanni ed il Commendatore nelle
varie versioni del mito del burlador de Seville): sia i greci sia la Bce sia
altri hanno lanciato ultimatum. Tuttavia, a differenza del mito del burlador,
nessuno vuole che l’avversario soccomba ma hanno tutti interesse a mantenere
“reputazione” all’interno dell’eurozona e “popolarità” riguardo i propri
elettori. La richiesta che la Germania e l’Austria paghino alla Grecia “le
riparazioni di guerra” e la minaccia di pignorare quanto di tedesco ed
austriaco sia sul suolo greco (ed anche altrove, ove i tribunali internazionali
lo concedessero) è un vero ‘gioco ad ultimatum’.
La richiesta parte da una vicenda di non troppi anni fa. Nel 2000
un tribunale greco, dopo decenni di indagini e dibattimenti, stabilì un
indennizzo di 28 milioni di euro per una rappresaglia avvenuta nel villaggio di
Distomo nel 1944 dove persero la via 280 persone (in effetti una Fosse
Ardeatine o Marzabotto ellenica). Allora, la Corte Suprema Ellenica
convalidò la sentenza e stabilì che Berlino e Vienna dovevano erogare i 28
milioni, ma il Ministro della Giustizia ne sospese l’attuazione perché era in ballo
l’adesione della Grecia all’Ue, ed al pari di quanto si ripeté dieci anni dopo
per l’ingresso di Atene nell’euro, gli uffici tecnici della Commissione, ossia
l’Eurostat, avevano concluso che ne mancavano i presupposti.
In breve, la Grecia entro nell’UE e nell’euro e di Distomo non si
parlò più sino all’altro ieri. Oggi la rappresaglia Distomo viene
utilizzata come un grimaldello per contabilizzare il valore attualizzato del
‘prestito forzoso’, di danni di guerra, a cui vengono aggiunte le riparazioni.
Guardando le cifre, Berlino (ed in parte molto minore Vienna) si dovrebbero, in
pratica, far carico di quasi tutto il debito greco. Germania ed Austria hanno
già risposto per le rime. Lo ha fatto anche il diritto internazionale: memore
dei trattati successive alla Prima Guerra Mondiale, dopo la Seconda si è
stipulato un accordo specifico sulle ‘riparazioni’ di Germania ed Austria,
firmato e ratificato anche dalla Grecia.
In effetti, a questo punto, sembra difficile che Atene possa
restare nell’eurozona (lo dice con in propri comportamenti lo stesso ex
Ministro delle Finanze Gigas Horduvelis. O vi resta ma cambia drasticamente
atteggiamento. O ne esce, volente o nolente.
Ciò pone un problema grave per l’Italia, grande mediatore e grande
esternatore di baci e abbracci televisivi. Nell’immediato sono in ballo i 30-40
miliardi di aiuti alla Grecia (che non verrebbero mai restituiti). Da un altro
c’è il rischio del ‘contagio’. Non se ne parlava da tempo ma proprio il 10
Marzo, mentre Atene lanciava l’ultimato un’analisi di Sylvester C.W.
Eijffinger, Michal Kobielarz, e Burak Ursa (tutti e tre dell’università di
Tilburgo), il CEPR Discussion Paper No. DP10459) avvertiva che Italia e
Portogallo sarebbero a rischio.
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