venerdì 6 marzo 2015

Piano Juncker, come verranno scelti i progetti? in Formiche 6 marzo



Piano Juncker, come verranno scelti i progetti?
06 - 03 - 2015Giuseppe Pennisi Piano Juncker, come verranno scelti i progetti?
Sembra un problema giuridico di lana caprina. Tutti gli addetti ai lavori sanno che un Comitato per gli Investimenti di otto esperti di alto livello farà proposte di finanziamento sulla base di istruttorie ed analisi di valutazione effettuate in sostanza dal personale Bei. Al momento della stesura di questo articolo, il regolamento del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis) è ancora al vaglio del Parlamento Europeo e le procedure di nomina e di incarico dei componenti del Comitato per gli Investimenti sono ancora in fase negoziale nell’ambito dell’Ecofin. Un negoziato non certo facile, anche perché Francia e Germania sostengono di avere messo il cappello su due degli otto seggi.
Ancora meno, però, sono coloro che riflettono sul futuro scenario europeo. Per la progettazione ed il finanziamento delle infrastrutture nei prossimi anni, è necessario riesaminare i parametri di valutazione per le singole operazioni ed i criteri per selezione, a fonte di inevitabili vincoli di bilancio, quelli che meglio contribuiscono agli obiettivi della società. Questo dovrebbe essere il primo compito del Comitato per gli Investimenti del “Piano Juncker”, se e quando verrà creato.
Le politiche e gli investimenti privati (anche per le infrastrutture) devono remunerare gli investitori ad un tasso che non sia inferiore al costo opportunità del capitale. Adottare misure quando una politica ad investimento abbia un valore economico per la collettività nel lungo periodo (una gamma di investimenti che va dalla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico alla televisione digitale terrestre), ma che potrebbe avere risultati insoddisfacenti nel breve periodo. In passato, il divario veniva colmato da varie forme e guise di aiuto di Stato – oggi non più contemplabile a ragione non solo della normativa Ue, ma anche dei vincoli di bilancio.
Occorre, quindi, pensare di colmare il divario con la regolazione; nazionale o europea? I grandi investimenti europei – ad esempio le reti trans europee – non dovrebbero essere il grimaldello per una regolazione europea? Specialmente una “regolazione” che dia certezze di stabilità e di non essere frequentemente mutata sotto la spinta d’interessi particolaristici, pure di breve periodo.
Le politiche e gli investimenti pubblici (a supporto del miglioramento della qualità della vita) avranno effetti anche sulle generazioni future, che in molti casi ne saranno le principali beneficiarie. Ciò solleva due ordini di interrogativi. In primo luogo, secondo Ocse e Banca mondiale, il tasso di attualizzazione utilizzato per valutare l’investimento pubblico in molti Paesi UE (a lungo la Francia è stata un’eccezione) e dalla Commissione Europea riflette il vincoli di bilancio pubblico e misura il declino del valore sociale delle risorse pubbliche liberamente utilizzabili. Non è il caso di seguire invece la più antica proposta di formulata dagli economisti Dasgupta-Sen-Marglin nel lontano di scegliere un tasso di attualizzazione che rispecchi il tasso d’interesse sui consumi? Secondo stime disponibili (anche da me effettuate) il primo approccio comporta un tasso di attualizzazione sull’8%, il secondo sul 2,5%; il primo non “cattura” quindi costi e benefici alla collettività nel lungo periodo. Né l’uno né l’altro, poi, “catturano” costi e benefici alle generazioni future: due scuole si confrontano su “come farlo”, ambedue sono cariche d’implicazioni di politica pubblica. Non è il caso di promuovere un’intesa a livello europeo?
Le metodologie di analisi delle politiche e degli investimenti, anche privati, hanno posto l’accento sin dagli anni Settanta su come coniugare efficienza (intensa nel senso di redditività) con efficacia (intensa nel senso di distribuzione del reddito e, in un secondo tempo, delle opportunità). In materia si sono sviluppati metodi, tecniche e procedure basate sulle “ponderazioni variabili” dei costi e dei benefici a seconda dei livelli di reddito o di consumo delle varie categorie di soggetti coinvolti nell’”intrapresa”. Nel XXI secolo, ed in Paesi avanzati ad economia di mercato, l’enfasi si deve spostare a come coniugare il breve e medio con il lungo termine. Dato che previsioni e scenari (specialmente se contro fattuali) a lungo termine, sono ardui da costruire con un grado realistico di accuratezza, non è il caso di spostare l’accento dall’analisi del rischio all’analisi dell’incertezza?
Il governo e le sue strutture tecniche, in primo luogo, e il Ministero delle Infrastrutture in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dovrebbero rispondere a questi interrogativi.

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