Piano Juncker, come verranno scelti i progetti?
06 - 03 - 2015Giuseppe Pennisi
Sembra un problema
giuridico di lana caprina. Tutti gli addetti ai lavori sanno che un Comitato
per gli Investimenti di otto esperti di alto livello farà proposte di
finanziamento sulla base di istruttorie ed analisi di valutazione effettuate in
sostanza dal personale Bei. Al momento della stesura di questo articolo, il
regolamento del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis) è ancora
al vaglio del Parlamento Europeo e le procedure di nomina e di incarico dei
componenti del Comitato per gli Investimenti sono ancora in fase negoziale
nell’ambito dell’Ecofin. Un negoziato non certo facile, anche perché Francia e
Germania sostengono di avere messo il cappello su due degli otto seggi.
Ancora meno, però, sono
coloro che riflettono sul futuro scenario europeo. Per la progettazione ed il
finanziamento delle infrastrutture nei prossimi anni, è necessario riesaminare
i parametri di valutazione per le singole operazioni ed i criteri per
selezione, a fonte di inevitabili vincoli di bilancio, quelli che meglio
contribuiscono agli obiettivi della società. Questo dovrebbe essere il primo
compito del Comitato per gli Investimenti del “Piano Juncker”, se e quando
verrà creato.
Le politiche e gli
investimenti privati (anche per le infrastrutture) devono remunerare gli
investitori ad un tasso che non sia inferiore al costo opportunità del
capitale. Adottare misure quando una politica ad investimento abbia un valore
economico per la collettività nel lungo periodo (una gamma di investimenti che
va dalla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico alla televisione
digitale terrestre), ma che potrebbe avere risultati insoddisfacenti nel breve
periodo. In passato, il divario veniva colmato da varie forme e guise di aiuto
di Stato – oggi non più contemplabile a ragione non solo della normativa Ue, ma
anche dei vincoli di bilancio.
Occorre, quindi, pensare
di colmare il divario con la regolazione; nazionale o europea? I grandi
investimenti europei – ad esempio le reti trans europee – non dovrebbero essere
il grimaldello per una regolazione europea? Specialmente una “regolazione” che
dia certezze di stabilità e di non essere frequentemente mutata sotto la spinta
d’interessi particolaristici, pure di breve periodo.
Le politiche e gli
investimenti pubblici (a supporto del miglioramento della qualità della vita)
avranno effetti anche sulle generazioni future, che in molti casi ne saranno le
principali beneficiarie. Ciò solleva due ordini di interrogativi. In primo
luogo, secondo Ocse e Banca mondiale, il tasso di attualizzazione utilizzato
per valutare l’investimento pubblico in molti Paesi UE (a lungo la Francia è
stata un’eccezione) e dalla Commissione Europea riflette il vincoli di bilancio
pubblico e misura il declino del valore sociale delle risorse pubbliche
liberamente utilizzabili. Non è il caso di seguire invece la più antica
proposta di formulata dagli economisti Dasgupta-Sen-Marglin nel lontano di
scegliere un tasso di attualizzazione che rispecchi il tasso d’interesse sui
consumi? Secondo stime disponibili (anche da me effettuate) il primo approccio
comporta un tasso di attualizzazione sull’8%, il secondo sul 2,5%; il primo non
“cattura” quindi costi e benefici alla collettività nel lungo periodo. Né l’uno
né l’altro, poi, “catturano” costi e benefici alle generazioni future: due
scuole si confrontano su “come farlo”, ambedue sono cariche d’implicazioni di
politica pubblica. Non è il caso di promuovere un’intesa a livello europeo?
Le metodologie di analisi
delle politiche e degli investimenti, anche privati, hanno posto l’accento sin
dagli anni Settanta su come coniugare efficienza (intensa nel senso di
redditività) con efficacia (intensa nel senso di distribuzione del reddito e,
in un secondo tempo, delle opportunità). In materia si sono sviluppati metodi,
tecniche e procedure basate sulle “ponderazioni variabili” dei costi e dei
benefici a seconda dei livelli di reddito o di consumo delle varie categorie di
soggetti coinvolti nell’”intrapresa”. Nel XXI secolo, ed in Paesi avanzati ad
economia di mercato, l’enfasi si deve spostare a come coniugare il breve e
medio con il lungo termine. Dato che previsioni e scenari (specialmente se
contro fattuali) a lungo termine, sono ardui da costruire con un grado
realistico di accuratezza, non è il caso di spostare l’accento dall’analisi del
rischio all’analisi dell’incertezza?
Il governo e le sue
strutture tecniche, in primo luogo, e il Ministero delle Infrastrutture in
collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dovrebbero
rispondere a questi interrogativi.
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