Investimenti
pubblici, così Lupi e Madia possono zittire le nuove polemiche
01 - 03 - 2015Giuseppe Pennisi
Le leggera, e flebile, indicazione di una possibile ripresa
economica, e le voci (peraltro incontrollate ed inconsulte data la situazione
generale della finanza pubblica) potrebbero fare prospettare un graduale
aumento dell’investimento pubblico. In tutta Europa – lo si è visto su Formiche.net del 24 febbraio – la spesa in conto capitale è
quella che è stata maggiormente compressa dall’inizio del percorso verso la
moneta unica iniziato nel 1992.
Il Piano Juncker – abbiamo visto sempre il 24 febbraio – per ora
contiene soltanto alcune promesse e numerose illusioni. “In Italia,- ha scritto
Paolo Coccia di Bnl-Bnp su Formiche-net del 15 novembre 2014 – i pochi investimenti
pubblici si accompagnano ad un non adeguato livello delle infrastrutture. Su
17mila chilometri di rete ferroviaria, solo il 5,4% è ad alta velocità, mentre
in Francia si raggiunge il 6,7% e in Spagna il 13,5%. Il ritardo interessa
anche il comparto tecnologico: la fibra ottica risulta ancora poco diffusa e la
velocità media per lo scarico dei dati raggiunge livelli pari solo a poco più
della metà di quelli francesi”.
Gli stessi documenti di finanza pubblica confermano che per gli
investimenti delle pubbliche amministrazioni non ci sarà alcun rilancio, almeno
in termini di spesa complessiva. C’è, invece, da aspettarsi piuttosto
un’ulteriore flessione. È quanto si legge nel Def alla voce del rapporto
investimenti fissi lordi/Pil: nel 2013 questo valore si è fermato all’1,7%,
peggio di quanto fosse previsto dai governi Monti e Letta (1,8%), mentre la
previsione 2014 lo colloca all’1,6%, poi all’1,5% nel 2015 e 2016, all’1,4% nel
2017 e 2018. Colpisce anche la riduzione degli investimenti nel 2013, con una
caduta dell’ordine del 10%, da 29.979 a 27.132 milioni di euro e la contrazione
del rapporto investimenti /pil di due decimali di punto da 1,9% a 1,7%.
La riduzione prevista dal Def riguarda anche i valori assoluti
degli investimenti fissi lordi, che nella gran parte sono lavori
infrastrutturali. Anche qui la tendenza è tutta in discesa: dai 25.730 milioni
del 2014 ai 24.835 del 2015 ai 24.453 del 2016, per poi accennare a una leggera
risalita nel 2017 (24.857) e nel 2018 (25.019). Dal 2011, quando gli
investimenti fissi lordi ammontavano a 31.907 milioni, al 2014 si sono persi
circa 6,1 miliardi di investimenti annui, circa il 20%
È soprattutto il rapporto investimenti fissi lordi/pil a dare però
la portata di come la spesa in conto capitale del settore pubblico arranchi
ormai da decenni, con un’accelerazione della caduta nell’ultimo quinquennio. Il
rapporto investimenti fissi lordi/Pil era del 3,5% nel 1981, quando la politica
di debito pubblico era centrale, per poi scendere al 3,1% nel 1991 e al 2,4%
nel 2001. Il project financing viene indicato come strumento di finanziamento
dei privati alternativo a quello pubblico, immaginando anche misure di
accorpamento delle concessioni e di efficientamento dei lavori da realizzare.
Si tratterà di mettere a regime le varie forme di incentivi fiscali esistenti e
magari estenderle anche a infrastrutture immateriali come la banda larga.
In questo quadro, non certo incoraggiante, si pone le ultime firme
apposte dal Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e dal
Presidente Francese François Hollande alla Tav Torino – Lione ed al
possibile apporto europeo al finanziamento del progetto, parte di una più vasta
‘rete’ europea di cui si discute (tra polemiche) da circa vent’anni, anche in
quanto comporta un tunnel transalpino a due tubi che si sviluppa su una
lunghezza di 52 chilometri e prosegue per altri 12 attraverso il tunnel di
circonvallazione di Bussoleno. L’avvio di questo snodo potrebbe, almeno
simbolicamente, essere un segnale di svolta, piccolo ma, al margine,
significativo.
Non è questa la sede per entrare negli aspetti tecnico-economici
dell’operazione. Se ne è trattato diffusamente in termini tecnici in in G.Pennisi
e P.L. Scandizzo “Valutare l’incertezza: l’analisi costi benefici del XXI
secolo“ Giappichelli, Torino, 2003, M. Centra Analisi costi benefici
con opzioni reali: un’applicazione al settore dei trasporti ferroviari in Le
nuove frontiere dell’analisi costi benefici (a cura di Pennisi G.) in
Rassegna Italiana di Valutazione Vol IX (32) pp. 97-116 , 2005, G. Pennisi e
P.L. Scandizzo Economic evaluation in the age of uncertainty in Evaluation Vol
XII (1) pp. 79-96, 2006.
In termini divulgativi ho risposto alle critiche di alcuni
economisti (G. Berta.e B. Manghi, A. Boitani . M. Ponti , A. Tamburino, L.
Bobbio Ideologia e prassi delle grandi opere in Il Mulino n. 423 pp. 92-132,
2006) su Il Domenicale del maggio 2006, su Avvenire
del 3 marzo 2012, su Il Sussidiario.net del 25 maggio 2013 e nel
dibattito aperto da La Voce-info nel maggio 2011.
A questo punto, credo sia importante fare alcuni considerazioni di
politica pubblica:
Perché l’investimento abbia gli effetti sperati di breve periodo
(attivazione di capacità produttiva non utilizzata) e di medio e lungo termine
(aumento della produttività del sistema) sono necessari grandi progetti non
interventi puntiformi.
La valutazione economica di grandi progetti (in grado di incidere
sulle strutture), richiede, specialmente in un Paese con l’orografia come
quella italiana (con montagne e necessità di viadotti e tunnel) una matrice di
contabilità sociale. Quella dell’economia italiana è aggiornata dal 1994,
perché dal 1996 sono stati drasticamente ridotti i fondi per lavori non
richiesti dall’Eurostat.
L’alternativa è la valutazione delle opzioni reali. Lavoro
metodologico e sperimentale (nonché di formazione) effettuato negli Anni
Novanta nei campi dei trasporti, del turismo e dei beni culturali, dalla Scuola
Nazionale di Amministrazione è stato interrotto verso il 2008 e mai più
ripreso. Basterebbero, in materia, istruzioni del Ministro Madia,
d’intesa con il Ministro Lupi.
In tal modo, si risponderebbe alla polemiche che, dopo la firma
Renzi-Hollande, stanno riprendendo. In Val di Susa e non solo.
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