ECO - L’”euro imperiale” e l’Euromed
Roma, 11 nov (Il Velino) - In questi giorni (dal 10 al 12 novembre) a Villa Lubin, sede del Cnel, si svolge la riunione del “vertice” dell’”Euromed”, l’associazione dei Cnel ed organi analoghi dei Paesi dell’Ue e del Mediterraneo. È importante che si tenga in Italia, anche se sulla stampa l’assise ha meno risalto di quello che meriterebbe, proprio in una fase in cui è in corso una “guerra dei cambi” ed il nostro Paese ha l’immagine del nesso fragile dell’area dell’euro. Da un lato, l’Euromed (non dimentichiamo che in questa tornata il presidente del Cnel italiano è stato eletto presidente dei 70 Cnel in esistenza in vari Paesi del mondo) conferma la centralità dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo. Da un altro, la riunione affronta, con l’apporto delle parti sociali, tematiche (la disponibilità di acqua, l’agricoltura, la formazione, la priorità nel sociale, il ruolo delle donne) che sono preliminari all’Unione del Mediterraneo vagheggiata da anni e riaffermata circa due anni fa in un vertice dei Capi di Stato e di governo Euromediterranei a Marsiglia.
Al di là di questi aspetti, c’è punto poco notato ma di grande rilievo: molti dei Paesi dell’Euromed si trovano agganciati all’euro ed alle sue traversie senza potere avere voce in capitolo. In parte per ragioni giuridico-formali, in parte per l’attrazione innescata dall’apprezzamento degli ultimi anni, l’euro è diventata o la moneta comune o l’ancora di un sistema molto più vasto di quello dell’Eurogruppo. È l’unità di misura, di transazione e di riserva, non solo di “piccoli” Stati europei (Andorra, Monaco, San Marino, Vaticano), ma anche di Stati e territori associati a Stati membri dell’Eurozona (Guadeloupa, la Guiana francese, la Martinica, Réunion, Saint-Barthélemy, Saint-Martin, le Azorre, Madeira Saint-Pierre-et-Miquelon, Mayotte, e le Canarie). Inoltre, in base ad accordi precedenti la creazione della moneta unica europea, le valute di numerosi Stati sono ancorate a quelle della ex-metropoli (in epoca coloniale) a tasso di cambio fisso. Si spazia dalla Nuova Caledonia, la Polinesia, Wallis e Futuna nel Pacifico a mezza Africa (tramite i trattati, sempre in vigore, tra la Francia, da un lato, e le Comunità Monetarie dell’Africa centrale ed occidentale, nonché la Repubblica delle Comore) e quello del Portogallo con Capo Verde. Ove la geografia dell’euro non fosse abbastanza confusa e straripante, ci sono Paesi neocomunitari (e che aspirano a fare parte dell’eurozona) che hanno definito, unilateralmente, un cambio fisso con l’euro: la Repubblica Cèca, la Romania, l’Ungheria. La Croazia, la Serbia, la Repubblica Macedone, e la Tunisia hanno seguito il loro esempio, sperando che l’ancora faciliti il loro ingresso nell’Ue o la loro associazione all’Ue. A questi Stati occorre aggiungere la Bosnia-Erzegovina e la Bulgaria – in ambedue vige un sistema di commissariamento valutario basato sull’euro (ossia l’emissione di moneta locale è basato sulle riserve in euro). In Kossovo e Montegro l’euro è la valuta commerciale.
Quindi siamo alle prese con un “euro Imperiale” che pone molteplici problemi giuridici; nessuna autorità monetaria, anche degli Stati più direttamente legati all’euro, partecipa al Sistema europeo di banche centrali (Sbce) ed ha voce in capitolo nelle politiche della Banca centrale Europea (Bce). Ad un recente (fine settembre) convegno giuridico a Bruges, i barracuda-esperti delle pandette si sono accapigliati sul grado a cui a ciascuna categoria si applichi “il patto di crescita e di stabilità”.
L’Euromed (ed il rilancio di politiche dei prezzi e dei redditi nella vasta regione) può essere una risposta che ne attenua le asperità.
(Giuseppe Pennisi) 11 nov 2010 11:48
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