LA DANZA DELLE MONETE SI FERMA SOLO CONVERGENDO
Giuseppe Pennisi
Riuscirà il G20 in corso a Seul a placare la guerra sui cambi? Essa sta anche aggravando i rischi di implosione dell’unione monetaria europea; quindi, non è tema solo per barracuda esperti. Sono state affacciate varie proposte , anche tirandone fuori di vetuste, tra cui quella di tornare al sistema aureo, o almeno ad un tallone aureo. Negli Anni Cinquanta, ne aveva fatto un cavallo di battaglia il Presidente dei francesi, Gen. Charles De Gaulle, su suggerimento del suo consigliere economico Jacques Rueff, secondo cui il tallone aureo avrebbe costretto gli Usa a rimettere la propria casa in ordine, a consumare di meno e risparmiare di più ed a non turbare i mercati internazionali. Altre proposte riguardano l’ancoraggio ad un paniere di commodity – da derrate alimentari a petrolio. Altre ancora mirano a dare nuova vita ai meccanismi detti di “Bretton Woods” (in quanto denifiniti nel 1944 nella cittadina del New Hampshire) che si basavano su una convertibilità a tasso fisso tra dollaro Usa e oro, a fluttuazioni delle altre monete entro una fascia molto stretta e a svalutazioni e rivalutazioni gestite collegialmente dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).
La critica maggiore rispetto alle proposte di De Gaulle-Rueff è quella fatta, all’epoca, dall’economista belga- americano Robert Triffin:la produzione d’oro (o di altri beni) non può stare al passo con le esigenze di liquidità di un mondo che cresce: la prova storica è data dal fatto che a fine Settecento (all’inizio cioè dell’industrializzazione), la zecca di Hall in Tirolo (che coniava monete per tutto il centro-Europa) venne chiusa e si passò a valute cartacee -non più collegate all’oro, o all’argento o alle derrate– essenziali perché l’Europa avesse la liquidità per diventare per due secolo il cuore del mondo in termini di tecnologia , reddito, consumi e investimenti.
Oggi mancano le condizioni storiche per tornare ai meccanismi di Bretton Woods– vennero creati da un club di 44 Stati omogenei e rappresentativi dell’ “area Atlantica”- mentre adesso meno di un terzo degli Stati membri del FMI hanno regimi di cambio “con un aggancio duro” (in gergo “hard peg”) ad una delle maggiori monete del commercio e della finanza mondiale (dollaro Usa, euro, yen). Per gran parte del mondo, uso a tassi di cambio in vario modo fluttuanti (con i benefici ed i costi che essi comportano), avere un hard peg comporrebbe un transazione gravosa. Lo si tocca con mano nell’area dell’euro: nei dieci dalla creazione della moneta unica sono aumentati i disavanzi delle bilance dei pagamenti di alcuni Paesi (Irlanda, Portogallo, Spagna ed in misura minore Italia) con altri Paesi dell’area (Germania, Francia), è cresciuto a dismisura il credito totale interno nei Paesi in deficit con il risultato di un’inflazione nascosta ma maggiore della media della zona e fibrillazioni sui titoli di Stato (uno specchio fedele dei cambi).
Come rimettere ordine? Occorre partire da una premessa: la danza delle monete rispecchia l’economia reale. Per due decenni, le tre principali aree geopolitiche sono state una cicala (gli Usa il tasso di risparmio delle cui famiglie è stato sottozero nel 2006 e nel 2007), una formica (i Paesi dell’Asia e dell’America Latina la cui crescita è il risultato di alta produttività e di tassi elevati di risparmio) e una bella addormentata (l’Europa rasoterra ma dove si assapora la dolcezza del vivere). Nella “bella addormentata”, poi, o produttività e competitività (e inflazione implicita) convergono verso gli standard più elevati oppure l’euro implode. Questo è il nodo che le singole aree economiche devono affrontare.
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