ECO - Roma, 24 nov (Il Velino) - Le Borse hanno accusato un tonfo alla notizia della conclusione dell’accordo tra autorità europee e Fondo monetario internazionale (Fmi), da un lato, e Governo di Dublino, dall’altro, per un consistente programma di aiuti (90 miliardi di euro in tre anni) alla ex-“tigre celtica” – un tempo lodata per le sue virtù ed ora, spennacchiata, biasimata per stravizi che (celati dietro le apparenti virtù) paiono mettere a rischio l’intera struttura dell’unione monetaria europea (Ume), se non la stessa Unione Europea che, a 60 anni, comincia a mostrare acciacchi.
Molti esperti di economia e finanza si aspettavano, invece, che, all’annuncio dell’accordo, i mercati finanziari avrebbero stappato bottiglie di champagne. Non pochi operatori hanno comprato (lo dicono i dati) il giorno prima dell’intesa, anche “allo scoperto”, rimettendoci le penne. Lezione amara, ma utile. Il vostro “chroniqueur” è rimasto immobile, come Jenny (il figlio di Guglielmo Tell) nella leggenda e nel terzo atto della mirabile opera rossiniana. E consiglia ai lettori di muoversi, se ritengono, con grandissima cautela, nei prossimi giorni. E’in ballo la sorte dell’euro, e forse anche quella dell’Unione Europea.
Pablo Jimenez, un economista spagnolo che insegna all’Università Nazionale dell’Australia (e che con il cannocchiale riesce a vedere le faccende europee meglio di noi), nella notte tra il 23 ed il 24 novembre ha inviato ai suoi amici per osservazioni la bozza di un saggio in cui, dati alla mano, argomenta che pochissimi europei sarebbero pronti “a morire per l’Ue (o soltanto a pagare più tasse) perché il progresso d’integrazione non si fermi” ed invita a ripensare i paradigmi soprattutto dell’euro.
La crisi della Grecia, prima, e dell’Irlanda, poi, hanno messo a nudo l’esigenza di tale ripensamento prima che sia troppo tardi o che ci si balocchi con nuove “cinture di sicurezza” analoghe a quella messa in piedi il 9 maggio e che non sarebbe sufficiente a fare da barriera se, oltre a Grecia ed Irlanda, Spagna e Portogallo volessero avvalersene. Lo avevano scritto a chiare lettere, e con forti argomentazioni, Christian Fahrholz dell’Università di Iena e Cezary Wojcik dell’Università di Varsavia (nessuno dei due alla corte di Angela Merkel) l’estate scorsa: la cintura di sicurezza sarebbe dovuta da servire da deterrente invece ha innescato, come un condono od una sanatoria, un “azzardo morale”, la convinzione che, dato che la difesa esiste, si può razzolare male ed utilizzarla. Proprio l’impiego fattone per l’Irlanda ha messo a serio rischio la credibilità del marchingegno europeo: finito il breve sogno di diventare (anche grazie a fiscalità di vantaggio) la Silicon Valley dell’Ue (e non solo), la ex-“tigre celtica” ha attirato capitali per buttarsi nell’immobiliare: costruttori ed immobiliaristi sono stati i principali finanziatori dei partiti (sia di maggioranza sia d’opposizione); in attesa di plusvalenze da sogno le banche si sono indebitate sino al collo, la notte tra il 23 ed 24 novembre sono state annunciate ricapitalizzazioni da parte di Pantalone con la provvista di aiuti frutto degli accantonamenti dei Paesi virtuosi. Al di là del giudizio etico su tal genere di operazione, occorre sottolineare che essa non può che avere il fiato corto: i risparmiatori tedeschi in primo luogo si ribelleranno nei confronti di bluff di questa natura. Specialmente se ora Spagna e Portogallo si vorranno avvalere della medesima strumentazione poiché dato che i mercati hanno risposto sfiduciando e Irlanda e Ue i loro titoli sono oggi più a rischio di quanto non lo fossero ieri. Nel 1927 l’unione monetaria latina finì per queste ragioni. Un’altra mezza dozzina di unioni monetarie è andata a gambe all’aria negli ultimi 50 anni. I mercati sanno che i peani alla solidarietà europea sono ormai onanismi. E il contagio fa paura.
(Giuseppe Pennisi) 24 nov 2010 11:04
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