lunedì 15 novembre 2010

COME LIBERARSI DALLA GABBIA EUROPEA SENZA FARSI TROPPO MALE IN Il Foglio 16 novembre

COME LIBERARSI DALLA GABBIA EUROPEA SENZA FARSI TROPPO MALE
Giuseppe Pennisi
Alla luce della crisi finanziaria dell’Irlanda , la provocazione di Paolo Savona su Il Foglio del 10 novembre diventa di grande attualità ed ha un indubbio merito: riapre quello che dal 1992 è considerato un dibattito “proibito”, appropriato per libri e saggi da mettere nel vecchio Indice e da non farsi in ambienti politically correct. Parte delle stime di allora (bassa crescita, difficoltà di politiche di espansione della produzione e della produzione, una gabbia di vincoli nuovi in aggiunta della ragnatela di quella “nostrana” già in vigore) si sono, purtroppo, verificate. L’uscita dalla moneta unica da parte di uno o più Paesi d’Eurolandia è una strada molto costosa, il cui onere viene aggravato dalla recessione degli ultimi tempi. Per questo motivo, da un lato, la Germania ed altri Paesi cercano di attivare la cintura di difesa definita il 9-10 maggio scorso (sulla scia della crisi greca); da un altro, proprio alcuni tra i Paesi in maggiori difficoltà (oggi l’Irlanda) resistono ai finanziamenti del resto dell’Eurogruppo per il timore di essere considerati i “paria” del Club e per il tremore delle reazioni interne alle drastiche misure di risanamento necessariamente connesse agli aiuti.
Una valutazione approssimativa del costo di uscire dal Club (la provocazione di Savona) può essere effettuata per analogia con quello pagato da altri Paesi- il più significativo è il crollo dell’area della sterlina nel novembre 1967, seguito poco dopo da quello dell’unione monetaria tra gli Stati della Federazione malese e Singapore e cinque anni più tardi dalla East African Common Service. Allora il costo a breve termine venne valutato tra due e cinque punti percentuali del Pil. Ove l’Italia volesse scegliere questa ipotesi o vi fosse costretta, il costo si aggiungerebbe ad una recessione che è ha comportato un calo di sei punti percentuali di Pil dopo oltre dieci anni di crescita zero.
Il percorso diventerebbe meno costoso in caso di un riassetto dell’unione monetaria a ragione dello smottamento in corso, di cui la situazione dell’Irlanda oggi, della Grecia ieri e del Portogallo o Spagna forse domani sono sintomi eloquenti. Tale smottamento viene analizzato da un lavoro ancora in progress di Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa in cui si prende lo spunto dall’accumularsi di disavanzi con l’estero di alcuni Paesi dell’euro e di saldi attivi in alti. Tale divergenza riflette non solo differenze crescenti di produttività tra i Paesi dell’area, ma anche di credito totale interno (innescato dai deficit con l’estero), e, quindi, d’inflazione “nascosta”. Già oggi l’euro ha valori differenti a seconda della banca centrale nazionale emittente (chiaramente indicata da una sigla su ciascuna banconota. Il differente valore dell’euro in varie parti dell’unione monetaria è comunque dimostrato dall’ampliarsi dello spread. Giavazzi e Spaventa auspicano che le nuove agenzie europee di regolazione (appena approvate dall’Ue) riescano a porre ordine mentre paventano, a ragione, la confusione aggiuntiva che provocherebbe il burocratico scoreboard (una pagella colma di indicatori anche di dubbia validità) proposta dalla Commissione Europea per premiare, o sanzionare, i i Governi degli Stati dell’unione monetaria. ’esito complessivo non potrebbe non essere una revisione dell’unione monetaria con una rinegoziazione delle parità centrali sottostanti l’euro (quando un euro spagnolo o greco vale in termini dell’euro tedesco), bloccate (per motivi di convenienza tatticas- facilitare il negoziato di Maastricht) a quelle sottostanti il vecchio ECU (European Currency Unit) dello SME nel 1989 (mentre produttività, credito totale interno, prezzi hanno preso percorsi divergenti). Ne risulterebbe, su scala europea, un sistema analogo a quello di Bretton Woods sempre che se ne affidasse il funzionamento ad una Bce riformata.

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