FOCUS
Le stime economiche non sono buone. E se si andasse alle une...
Con questa crisi economica,
ci vorrebbe un governo solido
di Giuseppe Pennisi
Secondo le stime pubblicate ieri, 18 novembre, dall’Ocse nell’Economic Outlook, la crescita italiana sarà nel 2010 all'1%, nel 2011 all'1,3% e nel 2012 all'1,6%. Occorre leggere queste cifre con cura. Chi conosce le procedure ed il modus operandi dell’organizzazione con sede a Château de la Muette, in quel di Rue André Pascal di Parigi, sa che il lavoro è stato effettuato con il modello econometrico Multimod, circa due mesi fa, per essere esaminato da comitati di esperti nazionali (oltre che in seno all’Organizzazione). Prima quindi della crisi dell’area dell’euro. Stime econometriche più recenti (elaborate da 20 istituti econometrici internazionali, secondo modelli che, come il Multimod, sono impiantati sul lavoro pioneristico di Lawrence Klein) vedono invece un decremento della crescita italiana nei prossimi due anni in quello che definiscono lo scenario “più probabile” (nell’assunto che l’area dell’euro tenga e tenga bene). Tuttavia, pongono in risalto il rischio di crescita zero od anche negativa, specialmente nell’eventualità di estendersi delle difficoltà nell’area dell’euro.
In queste condizioni “esterne”, andare a nuove elezioni, vuol dire, in primo luogo, la probabilità di un aumento del differenziale (in gergo lo spread) tra i tassi d’interesse sui titoli di stato a medio termine rispetto a quelli più favorevoli nell’area dell’euro (oggi quelli della Germania federale) e, quindi, di un aumento e dello stock di debito pubblico e degli oneri per fare fronte alle sue scadenze. Prima degli ultimi sussulti politici, i tassi d’interesse sui titoli di Stato italiani a dieci anni erano il 4.,09 per cento l’anno rispetto al 2,43 per cento di quelli tedeschi; nell’arco di una settimana sono aumentati di 23 punti di base – un brutto segnale. Potrebbero arrivare facilmente al 5 per cento in caso di scioglimento delle Camere.
Al fine di mantenere i saldi di cassa quali definiti nella “decisione di finanza pubblica”, ciò comporterebbe nuove misure, di una portata simile a quella effettuata dal Governo Dini nella primavera del 1995 (a fronte di una situazione analoga). Allora, l’operazione venne effettuata dal lato delle entrate. Oggi si dovrà operare, esclusivamente sul fronte della spesa pubblica non solo perché tanto il Governo quanto l’opposizione si sono impegnati a non aumentare la pressione tributaria contributiva (la seconda più elevata al mondo), ma anche perché nessun Esecutivo vorrà presentarsi alle urne sulla scia di un aggravio fiscale.
Anche se non fortissimo – 8-9 miliardi di euro –, l’”aggiustamento” sarà tale da richiedere tagli selettivi e da innescare, quindi, una battaglia su chi soffrirà di più e metterà lo scompiglio nelle amministrazioni che stanno già faticosamente dedicando tempo ed energia a riassestare i proprio programmi in seguito alla “decisione di finanza pubblica”e ai “tagli” ad essa conseguenti. La battaglia sarà tanto più pesante con l’avvicinarsi delle elezioni. Lo scenario diventerebbe ancora peggiore se dalle urne usciranno (con l’attuale legge elettorale) maggioranze differenti nei due rami del Parlamento e la prospettiva di una fase convulsa alla ricerca di qualche intesa per dare al paese la governabilità di cui tanto più sente l’esigenza in un contesto come l’attuale.
Non ci si devono aspettare conseguenze pesanti dal lato dei prezzi (il cui tasso di aumento è, ora, attorno all’1,6 per cento l’anno). Grave, invece, l’impatto sull’occupazione. Il tasso di chi cerca lavoro senza trovarlo viaggia verso il 10 per cento di tutti coloro che possono e vogliono lavorare. L’incertezza derivante dalla crisi aumenterà l’isteresi, termine che l’economia ha mutuato dalla fisica per indicare i tempi perché le imprese riprendano, dopo una crisi, a riassumere.
A queste conseguenze macro-economiche a breve e medio termine si aggiungono quelle, più difficilmente, quantizzabili del mancato avvio delle riforme.
Gli economisti non possono fare altro che analizzare fenomeni: ora l’esigenza è quella di un Governo con una base ampia e solida ed in grado di affrontare non solo una congiuntura difficile ma anche riforme non affatto semplici.
18 novembre 2010
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