CLT - Lirica, “Il Trovatore” e il provincialismo della critica italiana
Roma, 11 ott (Il Velino) - Diverse cose sono cambiate negli ultimi giorni in merito a “Il Trovatore” del Festival Verdi di Parma. Se la serata d’inaugurazione del primo ottobre si era contraddistinta per i fischi del pubblico e di gran parte della critica (con poche eccezioni come Paolo Isotta e Carla Moreni), vanno registrate alcune novità succedutesi nell’ultima settimana. Sono state sostituite il soprano e il mezzosoprano (ambedue ammalate). Se c’erano problemi di coordinamento tra buca e scena sono stati risolti. Come dicono gli inglesi, la qualità del pudding si apprezza solo quando lo si mangia. A sette giorni dalla sfortunata “prima”, si sa che questo “Trovatore”, pur nato senza accordi di coproduzione, è stato noleggiato da La Fenice e i teatri dell’Opera di Tokio e di Hong Kong. Data la numerosa presenza francese in sala, non è da escludersi una tournée Oltralpe, dove viene di norma rappresentata la versione adattata da Verdi per l’Opéra “Le Trouvère”, annacquata da due balletti e inferiore, anche nella traduzione ritmica, all’originale.
Principali bersagli delle critiche la regia di Lorenzo Mariani, le scene di William Orlandi e le luci di Christian Pinaud. E’ uno spettacolo “povero”: una scena unica con elementi (sempre presente, in varie guise, la luna, ed inoltre, per dar corpo ai vari ambienti, la statua di un cavallo, un fondale con Castel del Monte, il palcoscenico nudo nel finale in prigione). Ma proprio per questo molto efficace. Da un lato, è in linea con le scenografie “povere” che si vedono in Francia ed in Germania. Dall’altro, consente, al di là di fronzoli e orpelli, di scavare nel vero dramma del “Trovatore”: due uomini che lottano all’ultimo sangue per la stessa donna senza sapere di essere due fratelli. Veloce (brevissimi i cambi-scena), ha una portata cinematografica che ricorda “Les Cousins” di Claude Chabrol e “Duello al Sole” di King Vidor. Riporta alla mente soprattutto la splendida regia di Luchino Visconti alla Scala nella stagione 1966-67, tutta costruita su siparietti e rapidità d’azione. C’è una differenza profonda, tuttavia. Mariani, Orlandi e Pinaud giocano tutto in notturno, con varie tinte sceniche e musicali, mentre Visconti a un quadro notturno ne alternava uno solare. A Vienna, Berlino e Parigi, un “Trovatore” così allestito resterebbe in repertorio per almeno dieci anni. Oltre tutto, ha il vantaggio di poter essere facilmente trasportato da un palcoscenico all’altro, ed adattato a differenti dimensioni.
Per quanto riguarda Yuri Temirkanov, la sua è una concertazione differente rispetto a quelle cui sono abituati coloro che ascolta i nostri routiniers. Temirkanov dirige senza bacchetta e senza partitura, ma scava nella scrittura verdiana, mostra che non è mero accompagnamento alle voci, ne evidenzia il sinfonismo, si sofferma sulle tinte che via via prende l’orchestra. Unicamente Karajan, a Salisburgo negli anni Settanta, ha regalato un “Trovatore” con una con concertazione di pari livelli: accanto a Temirkanov pure Levi e Mehta sembrano routiniers. Tra le voci, spicca Marcelo Álvarez: timbro chiaro, dizione perfetta, Do di petto da applauso a scena aperta e un filato che pochi sorreggono così bene. Claudio Sgura è un buon baritono verdiano, ma nell’arioso cruciale (“Il balen del suo sorriso”) è meno vellutato di quanto dovrebbe. La venticinquenne Teresa Romano da un’ottima prova in generale, regge bene l’impervio ruolo di Leonora (e si destreggia efficacemente nella coloratura della cavatina), nonostante abbia avuto una breve difficoltà di tonalità in “D’amor sull’ali rosee” alla fine di una faticosa serata. Di livello. Mzia Nioradze chiamata di corsa a sostituire Marianna Tarasova e Deyan Vatchkov. In breve, uno spettac
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