lunedì 2 febbraio 2009

AIUTI ALLA FIAT MA CALCOLANDO COSTI E BENEFICI, Il Tempo 2 febbraio

In questi giorni, si sta mettendo a punto un programma di aiuti per la maggiore industria metalmeccanica del Paese - ove non la maggiore impresa manifatturiera tout court(se si escludono settori di pubblica utilità come l’energia),: la Fiat. Ciò avviene in un quadro in cui , a fronte della crisi finanziaria e della recessione mondiale, tutti i maggiori Paesi industriali (pure quelli asiatici) stanno correndo in supporto di un settore – basta scorrere il “Global Round-Up” di Datamonitor- in forte caduta di mercato e contrazione.
C’è una ragione fondamentale alla base di tale fenomeno: mentre nei Paesi emergenti l’auto è un bene di consumo durevole “di prima fascia” (che alle proprie qualità intrinseche aggiunge elementi di prestigio, di posizione sociale ed anche di relazione), nei Paesi industriali è un bene di consumo durevole “di seconda fascia” di cui si può ritardare l’acquisto ove non indispensabile. In una fase di restrizioni creditizie e di calo dei consumi anche di beni di prima necessità, i beni di consumo durevole “di seconda fascia” (gli economisti li chiamano, in senso tecnico non derogatorio, “beni inferiori”) ricevono seconda o terza priorità: non si rinnova se quella che si usa non casca a pezzi. Per tali beni la scure è molto pesante.
La Fiat è stata l’azienda prediletta da tutti i regimi e da tutti i Governi che si sono succeduti in Italia da quando è nata la metalmeccanica . Oltre a finanziamenti diretti (a carico di Pantalone), la politica dei trasporti ha sempre dato alta priorità alla gomma.
Quali sono i costi ed i benefici di un nuovo intervento? I primi sono facilmente calcolabili in termini di risorse pubbliche e di sgravi fiscali. Più difficile quantizzare i secondi. Si può stimare abbastanza agevolmente l’occupazione ed il valore aggiunto salvaguardato (o perduto) sia nell’azienda sia nell’indotto. Tuttavia, sarebbe un errore porre l’accento su questi aspetti. La ragione del supporto dovrebbe avere la propria ratio nel fare diventare la Fiat un’impresa multinazionale orientata ai mercati dove l’auto è, e resterà ancora per decenni, un bene consumo durevole “di prima fascia” (come si è visto ne Il Tempo del 25 gennaio). Ciò comporta un forte elemento di condizionalità: non solo maggiore attenzione all’ambiente (ormai diventato il prezzemolo di qualsiasi aiuto in qualsivoglia settore) ma un programma chiaro d’internazionalizzazione con partner in grado di aprire mercati ed un monitoraggio (da parte della pubblica amministrazione e delle parti sociali) della sua attuazione, dei suoi progressi e dei risultati raggiunti.
A supporto del programma ci vuole un’analisi economica e finanziaria ben articolata: un’analisi degli impatti di strategie alternative basate su modellistica econometrica (e su un’affidabile matrice di contabilità sociale) ed un serio calcolo dei costi e dei benefici alla collettività “Italia”, non solo all’azienda. Sono dati che l’ufficio studi della Fiat deve poter elaborare e la cui qualità dovrebbe essere esaminata dall’unità di valutazione del Ministero dello Sviluppo Economico, se necessario in collaborazione con l’Istat e l’Isae.

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