venerdì 20 febbraio 2009

A QUALCUNO PIACE "LUCIA" SENZA TAGLI

“Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizzetti è una delle opere più amate dal pubblico ed è. una delle più rappresentate non solo dai principali teatri lirici ma anche da compagnie a volte improvvisate. Non approdava al Regio di Parma da più di un lustroi. L’edizione, la cui “prima” è stata giovedì 19 settembre e le cui repliche si estendono sino al primo marzo, viene dal Teatro Lirico di Cagliari – interessante, ed utile, cooperazione tra teatri in periodi di vacche non magre ma magrissime.

Tratta da uno dei romanzi storico- romantici dello scozzese Walter Scott, di cui La Pléiade ha appena pubblicato la collezione integrale (anche se in Italia è noto solo per le edizioni holliwoodiane e televisive di “Ivanohe”), “Lucia” rappresenta un anello di transizione essenziale dal melodramma di inizio Ottocento a quello verdiano. Da un lato, l’orchestra evoca l’atmosfera delle brume scozzesi in un notturno quasi infinito (al pari di quanto avviene nel capolavoro di Rossini ispirato ad un altro lavoro di Scott, “La donna del lago”). Da un altro, le parti vocali richiedono grande maestria: vennero scritte per Gilbert-Louis Duprez, il tenore che ha inventato il “do di petto”, Fanny Persiano, un soprano, al tempo stesso, dalla vocalità leggera e dalla coloratura raffinatissima, e Domenico Coselli, baritono agilissimo.

Portare “Lucia” sui palcoscenici “grandi” rappresenta una sfida per una ragione specifica connessa alla “tradizione” italiana. Nelle edizioni in circolazione dalla seconda metà dell’Ottocento vengono operati tagli copiosi (quasi un terzo della partitura), principalmente nei ruoli maschili; la vocalità della protagonista, inoltre, viene portata a soprano drammatico. I tagli hanno l’effetto di imperniare tutta l’opera su Lucia, dimenticando che si svolgono due azioni parallela: una tra i quattro uomini (Edgardo, Enrico, Arturo e Raimondo) e l’altra tra l’aspro mondo maschile (dove le fanciulle, pure le sorelle, sono oggetto di compravendita) e quello della fragile Lucia, tanto debole da diventare assassina e pazza non appena l’uomo a cui è stata venduta (Arturo) si abbassa i pantaloni per avere ciò che ha pagato. La “Lucia” tagliata della “tradizione” è un romanzetto romantico, invece del doppio dramma parallelo. Il vostro “chroniqueur” non è tra coloro che ritengono essenziale il rigore filologico (spesso impossibile in quanto mancano le voci o gli strumenti) ma tra una “Lucia” di “tradizione” ed una più vicina ad un’edizione quale pensata dall’autore preferisce la seconda. La “Lucia” in scena a Parma è quasi integrale. Vale la pena ricordare che circa dieci anni fa, Zubin Metha e Graham Vick portarono una “Lucia” quasi integrale al Maggio Musicale Fiorentino ed al Grand Théatre di Ginevra. Operazione coraggiosa che a Firenze, però, non venne approvata dal pubblico. La “Lucia” “di Vick”, vista anche al Teatro dell’Opera di Roma, era imperniata sul chiarore di luna. A Parma, la regia, le scene, i costumi e le luci di Denis Krief, invece, ci portano in un Scozia atemporale e marina (i costumi sono di metà Novecento- forse il periodo della guerra di Spagna data la foggia delle uniformi) .” Il mare è nell’opera – spiega il regista-;. bastava saperlo vedere. Si poteva già rintracciarlo nella fonte romanzesca di Walter Scott e perfino nelle indicazioni dello scenario e del libretto. Ma è il melodramma di Cammarano e Donizetti a evocare l’oceano, non appena si incontrano i due protagonisti. “Lucia di Lammermoor” racconta la passione fra un uomo in perenne fuga e una donna che sente l’irresistibile richiamo verso questa ombra. Nello spettacolo il mare è una proiezione. Incombe perché è la linea su cui Cammarano e Donizetti disegnano l’orizzonte del loro melodramma. L’orizzonte marino è l’orizzonte romantico per eccellenza, la linea frastagliata su cui disegnare infiniti approdi per l’immaginario ottocentesco. Qual è il destino di Lucia? Trovare la forza di ribellarsi, di compiere un gesto di libertà. Emblematico è quanto accade durante il drammatico confronto con il fratello, che le impone un matrimonio che lei non vuole. Con una sintesi straordinaria gli autori hanno la forza e il candore di farle dire: Sappiamo bene quanto Donizetti abbia approfondito la psicologia dei personaggi femminili e questa domanda così accorata avvalora la tesi”.

Parte del notorio loggione di Parma non ha apprezzato questo stacco da una tradizione che vuole “Lucia” non solamente opera “femminile” ma anche chiaramente incastrata in un Seicento di maniera. A mio avviso, la lettura di Krief legge correttamente il dramma a due livelli dell’opera e propone una messa in scena che può avvicinarlo al pubblico più giovane. Qualche protesta ha avuto anche la direzione serrata, quasi novecentesca, di Stefano Ranzani. La protagonista è una delle migliori belcantiste su piazza, Desirée Mancatore. Ottimo Stefano Secco corso a sostituire un collega ammalato e a dare voce e corpo alla difficile parte di Edgardo. Di buon livello, Gabriele Viviani (Enrico), Carlo Cigni (Raimondo) e Francesco Marsiglia (Arturo).

Nessun commento: