“Prima mondiale” all’Opera di Roma (Teatro Nazionale – la sala più piccola delle due a disposizione della Fondazione) di uno spettacolo multimediale che in marzo sarà Reggio Emilia, in aprile – maggio a Milano, in estate al Festival di Santander e forse in autunno negli Usa. Coniuga effetti speciali molto tecnologici (il palcoscenico è trasformato in una piscina con un il lembo sinistro riservato alla “Brigata Sinfonica”, un complesso di 5 elementi che suonano dieci strumenti- e gli spettatori sono circondati da schermi con scene acquatiche e marine) con prosa (in inglese, spagnolo, francese e qualche battuta in italiano) affidata ad un cast internazionale (Moni Ovadia, Hendrik Aerts, Dory Sánchez,) e canto (Helga Davis, Maria Pilar, Pèrez Aspa). Il testo è di Saskia Boddeke, la regia di Peter Greenway, la musica di Goran Bregović, notissimo anche in Italia per le musiche con cui ha accompagnato i film di Emir Kustarica.
The Blue Placet” è un “oratorio multimediale” in 90 minuti (senza intervallo). E’ strutturato in otto parti come una messa da requiem: tratta, infatti, della fine del mondo, creato da Dio (con la voce del soprano lirico Maria Pilar, Pèrez Aspa) e distrutto dall’uomo. Noè (Ovadia) costruisce l’arca nella speranza che dopo il diluvio universale, ne sorga uno migliore. La sua sposa (Helga Davis, cantante afro-americana la cui estensione va dal soprano lirico quasi al contralto) è scettica. Tuttavia, i loro figli (Aerts, olandese; Sánchez, spagnola, ambedue attori) raccolgono il messaggio di speranza.
Boddeke, Bregović, e Greenway raccontano il divenire del pianeta con un occhio ai rapporti tra Dio (il trascendente) e gli essere umani (dal quasi ignavo Noé, alla sua consapevolissima moglie, ai loro sensualissimi figli). Dio (pur cantando con voce di donna) assume le vesti d’uomo, d’ermafrodita, di serpente, di bambini. Tra i due giovani aleggia aria d’incesto per dare vita alla nuova (e migliore) umanità.
Lo spettacolo è, senza dubbio, innovativo ed interessante. La partitura di Bregović è, si potrebbe dire, “mediterranea”: incastra musica balcanica (e gitana), con il melanconico fado portoghesi, con echi di composizioni arabe e greche, andando anche nel gospel e nel blues per le vere e proprie arie affidate a Helga Davis. La musica è, però, solo un ingrediente del lavoro, il cui esito deve molto all’impianto scenico, ai costumi, alle luci ed ai disegni animati in stile Second Life (Annette Mosk, Marritt Van der Burgt, Marcello Lumaca, Luca Lisci). Un elogio meritano Aerts e Sánchez, che recitano ed anche danzano costantemente nell’acqua.
Un nuovo modo di fare teatro in musica? Attirerà pubblico giovane? E’ indubbiamente maggiormente in linea con quanto si vede a New York, Berlino, Parigi e Londra del “Freud, Freud, I Love You” di Luca Mosca, su libretto di Gianluigi Melega, in “prima mondiale” al Teatro Olimpico di Roma a metà gennaio.
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