sabato 28 febbraio 2009

NUCLEARE, MERCATI, CREDITO:L'ITALIA ALZI LA VOCE, Libero 28 febbraio

Domani primo marzo 2009, i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea (Ue) si sono dati appuntamento a colazione nel piuttosto anonimo palazzone Justus Lipsius (un filologo ed umanista fiammingo del XVI secolo) per ciò che, in sostanza, è una seduta straordinaria del Consiglio Europeo. La sessione è stata preceduta, domenica, 22 febbraio, da una colazione di lavoro analoga, ma a Berlino, tra i quattro “grandi” dell’Ue. L’obiettivo di questi incontri ravvicinati consiste nel forgiare una posizione comune per l’appuntamento del G20 il 2 aprile a Londra. Tra la colazione a Berlino del 22 febbraio e quella a Bruxelles del primo marzo, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha presentato al Congresso Usa il “messaggio sullo Stato dell’Unione”, discorso annuale che equivalente alla esposizione del programma d’indirizzo politico dell’Esecutivo al Legislativo. Ha, quindi, scoperto alcune delle carte della posizione Usa al G20: la recessione sarà lunga (probabilmente tre anni, pur se, con un colpo d’ala, se ne potrebbe uscire già nell’ultimo scorcio 2010), il mondo economico sarà differente (come avvenne dopo il Grande Panico del 1873 quando la recessione terminò dopo cinque anni e senza interventi di rilievo da parte della mano pubblica).
Cosa si diranno i Capi di Stato e di Governo dell’Ue durante la colazione a Justus Lipsius? E’ soprattutto cosa può portare l’Italia al tavolo del lunch? E’ probabile che prevalgano i temi di breve periodo- ossia i tempi ed i modi per uscire del tunnel. Le previsioni econometriche non sono incoraggianti; secondo indiscrezioni che corrono nei corridoi di Bruxelles, il pil dell’area dell’euro subirebbe una contrazione del 2,1 nel 2009 e dell’1,8% nel 2010; il tasso di disoccupazione passerebbe dall’8% circa al dicembre 2007 al 10% al dicembre 2010. Ci sarebbe una forte mortalità di piccole e medie imprese e in alcuni settori maturi (metalmeccanica, chimica, editoria), le grandi aziende dovrebbero fare ricorso, per salvarsi, a Pantalone.
In questo quadro generale, è critica la definizione della politica economica tanto a livello macro quanto dei principali comparti. Sul piano della politica monetaria, la Banca centrale europea (Bce) sosterrà che sta facendo tutti il possibile: i tassi d’interesse sono rasoterra, l’offerta di moneta è abbondante, i finanziamenti non arrivano a imprese e famiglie perché gli intermediari finanziari non si fidano gli uni degli altri. Sul piano della politica di bilancio, ormai il patto di crescita e di stabilità, con i suoi indicatori e vincoli, è, se non messo in soffitta, quanto meno sospeso sino a quando ci sarà luce chiara e trasparente alla fine del tunnel della crisi. Sul piano della politica dei prezzi e dei redditi (la “concertazione” nelle sue varie guise e fogge), nessuno (a parte qualche sindacalista nostalgico) ritiene che essa possa essere uno strumento di grande utilità. Sul piano della crescita, infine, dopo essere stata messa da parte la “strategia di Lisbona” n.1 (che nel marzo 2000 aveva promesso di fare diventare l’Ue l’area più dinamica del mondo entro il 2010 ormai alle porte), nessuno parla più del Lisbona n. 2 (più agile e più flessibile – nei modi e nei tempi- ma anch’esso ormai appartenente al passato).
Ci sono comunque nodi immediati da risolvere; e l’Italia può dare un contributo. In primo luogo, domenica 22 febbraio i quattro “grandi” hanno delineato una strategia diretta a giungere a nuove regole internazionali per i movimenti di capitale e la valutazione di titoli strutturati (potenzialmente “tossici”) ed un potenziamento delle risorse e dei compiti del Fondo monetario. Ciò è, tra l’altro in linea con un’analisi del Fondo medesimo sulla qualità della regolazione e della vigilanza su scala globale (IMF Working Paper n. 08/190). La Commissione Europea starebbe, invece, per varare una direttiva che prevede la nazionalizzazione della banche più in difficoltà e negli Usa, dopo il tracollo dei titoli azionari di Citigroup e di Bank of America il Tesoro starebbe pensando di entrare alla grande nel capitale dei due istituti. Su Libero Mercato del 24 febbraio ho indicato le condizioni, davvero estreme, che potrebbero comportare una nazionalizzazione temporanea (piena comunque di rischi) e spezzato una lancia a favore di un miglioramento della regolazione (e vigilanza) internazionale. Inoltre, i conti degli istituti vanno esaminati con cura prima di parlare di nazionalizzazione (totale o parziale). Lo sottolinea anche un lavoro di Max Hellwig del Max Planck Institute , ancora inedito ma che, tra un paio di settimane, sarà nella collana dell’istituto in tedesco ed in inglese (MPI Collective Googs Preprint, N. 2008/43). Per Citigroup e Bank of America si può indicare un menu vasto di soluzioni prima di ipotizzare l’ingresso di Pantalone nel loro capitale. Molto più complicata (e, territorialmente, molto più vicina a noi) la situazione delle banche di molti Stati neo-conunitari (entrati nell’Ue nel 2004 e nel 2007). E’ un panorama a macchia di leopardo – lo tratteggia efficacemente uno studio ancora in corso del Center for European Policy Studies . Sono stati già varati piani di salvataggio per le banche ungheresi e lituane; altre sono in fila. L’Italia (che ha numerose interazioni finanziarie con l’Europa centrale ed orientale) deve fare sentire la propria voce e cominciare a mettere in dubbio l’efficacia di una strategia europea che ha caricato (forse eccessivamente) di questi compiti la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers). In questo campo, una regolazione Ue (od una semplificazione del groviglio di regolazioni nazionali) potrebbe essere utile; e l’Italia avrebbe, senza dubbio, qualcosa da dire.
Altro campo in cui l’Italia ha qualcosa da dire e da offrire sono le misure che stiamo prendendo per utilizzare la Pa non come una mano morta ma come uno strumento di crescita. A riguardo, varrebbe la pena aggiornare il P.I.C.O. (Programma per l’Innovazione, la Comepitività, lo Sviluppo e l’Occupazione) predisposto, sotto la guida tecnica di Paolo Savona, alla fine del 2005 (ricevette, in Italia, meno attenzione di quanto meritasse a ragione dell’avvicinarsi delle elezioni, ma nell’Ue venne considerato il miglior documento nazionale su questi temi) ; il Business Plan preparato dal Ministro Brunetta rappresenta un’ottima base da cui prendere avvio.
Infine, il nucleare: dopo l’intesa con la Francia, possiamo vantarci di esserci messi sul percorso di una riduzione dei costi di produzione compatibile con la sicurezza e con l’ambiente.
Un ultimo punto: alla colazione aleggerà lo spettro di “una nuova Bretton Woods”. Qualche barracuda-esperto fornisca a Berlusconi ed a Tremonti il Nber Working Paper No w14731 in cui Micheal P. Doodley (University of Virginia), David Folkerts-Landau (Deutsche Bank) e Peter M. Garber (Brown University) spiegano perché, tutto sommato, la lex mercatoria di Bretton Woods è ancora alla base del sistema monetario internazionale.

Nessun commento: