Oggi venerdì 13 febbraio (Santa Maura martire) e domani 14 febbraio (San Valentino, Festa degli innamorati) si svolge a Roma il G7 economico e finanziario, ossia la riunione dei Ministri economici e finanziari dei principali Paesi della comunità internazionale. L’atmosfera sarà verosimilmente caratterizzata più da aria di martirio (è compito duro avere, in questa fase, responsabilità di governo dell’economia e della finanza) che d’innamoramento (a due anni circa dall’esplosione della crisi finanziaria ed ad un anno dall’inizio della recessione non ci sono ancora i lineamenti di un approccio condiviso per affrontare e risolvere i nodi dell’economia e della finanza internazionale). E’ una riunione specialmente importante in vista della richiesta dei Governi di Francia e di Germania di una convocazione di un G8 straordinario dei Capi di Stato e di Governo (la convocazione deve essere fatta dall’Italia che nel 2009 ha l’incarico di presiedere il Gruppo). La convocazione di un G8 straordinario, a poche settimane del G20 in programma a Londra il 2 aprile, deve essere ponderata con attenzione poiché potrebbero essere disastrosi gli effetti di un eventuale esito della riunione che non fosse interpretato come positivo dai mercati finanziari.
I temi all’ordine del giorno sono numerosissimi. “The Economist”, in edicola, dipinge un fosco quadro di nuovi nazionalismi e d’interventi pubblici in tutti i settori (dalle banche all’industria manifatturiera); la mattina del 12 febbraio, la stampa internazionale annunciavano che l’Irlanda, un tempo considerata “tigre celtica” per la sua crescita ed alto grado di libertà economiche , ha in pratica nazionalizzato le sue due maggiori banche, sull’orlo dell’insolvenza. Si è incrinata non soltanto la fiducia tra le istituzioni finanziarie ma anche nella capacità della professione economica di sapere fare il proprio mestiere d’analisi e di previsione. Occorre porre l’attuale crisi in prospettiva: quasi simultaneamente, due fonti molto differenti tra loro, il Rapporto 2009 sulla libertà economico della Heritage Foundation e del Wall Street Journal (edito per l’Italia dall’Istituto Bruno Leoni; IBL) e Jialiu Lu della Sun -Yat Sen University , una delle più antiche università cinesi in stile occidentale – è stata fondata nel 1924-) ricordavano che la crisi avviene dopo 15 anni di crescita senza precedenti dell’economia mondiale (non di quella dell’Europa vecchia) – in cui l’indice di povertà della popolazione, mondiale, è diminuito drasticamente (dal 31% al 26%) ed in cui i Paesi a più alto tasso di crescita e maggiore riduzione dell’indigenza sono quelli che hanno abbracciato l’economia di mercato. La crescita senza precedenti è stata accompagnata da un tasso d’innovazioni, e di loro diffusione, anch’esso senza precedenti tanto nell’economia reale (specialmente tramite innovazioni di GPT, general purpopose technology- tecnologie applicabili a tutti i settori) quanto nella finanza. Non solo, analisi recenti mettono in luce la forte correlazione tra le prime e le seconde: in breve, senza l’innovazione finanziaria non ci sarebbe stata l’innovazione, specialmente nel ramo della tecnologia dell’informazione e della comunicazione dell’economia reale. E tanto la crescita quanto la riduzione della povertà sarebbero state molto più contenute.
Ciò suggerisce che il G8 deve evitare di disperdersi su troppi temi, e concentrarsi, invece, su quelli attinenti al contenimento delle disfunzioni (pensare che possano essere “eliminate” o “sradicate”, come si legge su alcune testate, è mera illusione). Un lavoro importante è stato concluso, di recente, dal servizio studi del Fondo monetario (è il Working Paper n.08/190; si può richiedere a atieman@imf.og o a mchiak@imf.og) ed è auspicabile che sia a disposizione del G8 finanziario. Nello studio si esamina la qualità della regolamentazione e vigilanza finanziaria in quasi tutti i 180 Paesi che fanno parte del Fondo e della sua sorella (la Banca mondiale). Più importante delle graduatorie che se ne ricavano è interassente notare che, nonostante le differenze istituzionali e storico-culturali, mediamente, la qualità della regolamentazione finanziaria (e attinente vigilanza) è al di sotto del livello (contrassegnato con il numero cardinale 4) considerato con gli standards definiti dalle maggiori istituzioni finanziarie internazionali. Ciò indica , a tutto tondo, come questo è il nodo essenziale su cui concentrare gli sforzi del G8; se si riesce a risolverlo, si troveranno cure anche agli altri (come la forte ripresa del protezionismo, in barba agli appelli del G20 del novembre scorso e dei comunicati, ormai quotidiani, dell’Organizzazione mondiale del commercio in favore della libertà degli scambi).
Su come procedere si scontrano tre approcci: se cercare di operare a livello mondiale (dando, ad esempio, nuove funzioni a Fondo monetario e Banca mondiale, una volta riorganizzate) oppure regionale (Europa. Asia), oppure nazionale in linea, però, con standard internazionali. Sino ad ora il paradosso apparente è la globalizzazione dei mercati ed il carattere nazionale di regolazione e vigilanza (che, con l’attuale crisi, si sta accentuando). Non è facile trovare una quadra non solo per motivi ideologici (gli Usa si oppongono ad una regolamentazione mondialistica anche perché, al loro interno, soltanto alcuni aspetti spettano alle autorità federali e non a quelle dei singoli Stati dell’Unione).
Una proposta interessante è in un lavoro appena completato dall’European Corporate Governance Institute di Zurigo e dell’Oxford Finale Group (TILEC Discussion Paper N. DP 2009-01 da richiedere a gerard.hertig@recht.gess.ethz.ch ). Traccia un modello per l’unione monetaria europea, trasferibile, però, ad altre aree e, con gli adattamenti appropriati, a livello internazionale. Gli Stati della zona dell’euro potrebbero avere l’opzione di delegare parte delle loro funzioni di regolazione e vigilanza alla Banca centrale europea (Bce), pur restandone titolari, tramite non un trattato generale ma accordi specifici “su misura” dei singoli Stati, nell’ottica comunque di coerenza e parità di trattamento. Gradualmente, se il meccanismo funziona, potrebbe essere esteso e rafforzato. E’ un disegno gradualistico, molto più concreto di sogni nel cassetto sul tipo di quelli relativi ad un nuovo accordo del Plaza o di una nuova Bretton Woods.
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