“Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizzetti è una delle opere più amate dal pubblico. L’edizione approdate al Regio di Parma da più di un lustroi. L’edizione, la cui “prima” è stata giovedì 19 settembre e le cui repliche si estendono sino al primo marzo (prima di riprendere a viaggiare), viene dal Teatro Lirico di Cagliari. “Lucia” rappresenta un anello di transizione essenziale dal melodramma di inizio Ottocento a quello verdiano. Da un lato, l’orchestra evoca l’atmosfera delle brume scozzesi in un notturno quasi infinito . Da un altro, le parti vocali richiedono grande maestria: vennero scritte per Gilbert-Louis Duprez, il tenore che ha inventato il “do di petto”, Fanny Persiano, un soprano, al tempo stesso, dalla vocalità leggera e dalla coloratura raffinatissima, e Domenico Coselli, baritono agilissimo. Nelle edizioni in circolazione (anche in quella recente di Roma) vengono operati tagli copiosi principalmente nei ruoli maschili e la vocalità della protagonista, inoltre, viene portata a soprano drammatico. I tagli hanno l’effetto di imperniare tutta l’opera su Lucia, dimenticando che si svolgono due azioni parallela: una tra i quattro uomini (Edgardo, Enrico, Arturo e Raimondo) e l’altra tra l’aspro mondo maschile (dove le fanciulle, pure le sorelle, sono oggetto di compravendita) e quello della fragile Lucia, tanto debole da diventare assassina e pazza non appena l’uomo a cui è stata venduta (Arturo) si abbassa i pantaloni per avere ciò che ha pagato. La “Lucia” di questa edizione (regia, scene e costumi di Denis Krief) è quasi integrale e si svolge in una Scozia atemporale e marina (i costumi sono di metà Novecento- forse il periodo della guerra di Spagna data la foggia delle uniformi).
Parte del loggione del Regio di Parma non ha apprezzato questo stacco da una tradizione che vuole “Lucia” non solamente opera “femminile” ma anche chiaramente incastrata in un Seicento di maniera. A mio avviso, la lettura di Krief legge correttamente il dramma a due livelli dell’opera e propone una messa in scena che può avvicinarlo al pubblico più giovane. Qualche protesta ha avuto anche la direzione serrata, quasi novecentesca, di Stefano Ranzani, maestro concertato più adatto al tardo ottocento ed al novecento che al melodramma donizettiano. La protagonista è una delle migliori belcantiste su piazza, Desirée Mancatore; si è meritata tutti gli applausi ricevuti. Ottimo Stefano Secco corso a sostituire un collega ammalato e a dare voce e corpo alla difficile parte di Edgardo. Di buon livello, Gabriele Viviani (Enrico), Carlo Cigni (Raimondo) e Francesco Marsiglia (Arturo).
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