Roma, 24 feb (Velino) - Nel febbraio 1992, recensendo l’ultima messa in scena in Italia di “Arabella”, alla Scala nell’ambito di una tournée dell’Opera di Monaco, l’allora critico musicale del Corriere della Sera Duilio Courir parlò di “incanto dell’amore”. Un giudizio azzeccato, mentre ancora oggi c’è chi, a proposito di questa magnifica commedia lirica con “il bazar sublime di ogni possibile e impossibile impegno vocale” (come scrisse Fedele D’Amico), parla di “Sklerosenkavalier” se non di “Prostatenkavalier”. Non mancano alcune assonanze tra il “Rosenkavalier” del 1911 e “Arabella” che è del 1933. Richard Strauss era quasi settantenne quando, dopo un lungo periodo di gestazione e la morte del poeta-librettista-coautore Hugo von Hofmannsthal, la “commedia lirica in tre atti” andò in scena. Ciò non toglie che “Arabella” sia forse la commedia in musica più deliziosa del Novecento, indubbiamente quella che meglio tratteggia l’innamoramento di un quarantenne per una ventenne in un contesto storico di crisi politica ed economica (l’Austria battuta dalla Prussia nel 1866).
Per questo motivo e anche perché così raramente rappresentata in Italia, merita una citazione particolare nel vasto menu delle opere straussiane in programma all’Opera di Francoforte in occasione dei 60 anni dalla morte del compositore. La vicenda è a metà strada tra nostalgia e commedia dei sentimenti. La storia è quella di una famiglia sull'orlo della bancarotta che nella Vienna degli anni immediatamente successivi alla guerra austro-prussiana, periodo quindi di incertezza politica e di dissesti finanziari, gioca le ultime carte puntando su un buon matrimonio della figlia Arabella per salvare una situazione assai compromessa. Per questa ragione la sorella più giovane, in attesa che un ricco cavaliere si presenti per Arabella, è costretta a vivere travestita da ragazzo. Nasce in questo modo l'equivoco sul quale si fonda lo svolgimento degli accadimenti scenici.
Uno svolgimento da teatro leggero, trattato con grande eleganza dalla penna di Hofmannsthal, si conclude con il lieto fine. Il cavaliere è un maturo gentleman from overseas, ricco possidente terriero e industriale di quella Croazia allora considerata dai viennesi ai confini del malmesso impero. Arabella ha corteggiatori tra aristocratici più o meno spiantati (un tenore, un baritono e un basso) della capitale, ma con il croato Mandryka è amore a prima vista. Una passione turbata da una serie di equivoci sorti a causa del “giovanotto”, cioè la sorella di Arabella travestita, in casa e nella stanza da letto, nonché da una serata un po’ folle del quarantenne al night club. Ma si risolve tutto in maniera dolce. E con una musica del tutto nuova e innovativa per un settantenne come Strauss, senza dubbio in pieno vigore: un organico ristretto, privo definitivamente dei “wagnerismi” (a cominciare dai leitmotive), senza concessioni alla dodecafonia che allora cominciava a fare strada, con una scrittura, scrive acutamente Mario Bortolotto nel suo recente saggio su Strauss, fatta di “schegge e tessere sonore” che “scorrono, riapparendo in momenti del tutto imprevedibili”, in cui anche i ritmi di danza (valzer lento, polacca, valzer brillantissimo) hanno una funzione importante.
L’allestimento di Francoforte (coprodotto con il Teatro Reale di Göteborg in Svezia e che speriamo sia portato in Italia da qualche sovrintendente intelligente) trasferisce la vicenda ai giorni d’oggi: la crisi è quella economica, il mondo che sta sparendo è quello della finanza allegra. Una scena unica con pareti mobili che aprono e chiudono i vari ambienti. Il bianco e nero è di rigore. Si stacca e staglia sul resto il magnifico abito da sera azzurro della protagonista. Una regia efficace di Christof Loy. Una direzione musicale cesellata di Sebastian Weigle. Un cast giovane con voci stupende: Anne Schwanewilms è un Arabella di grande avvenenza fisica e vasta estensione vocale, Robert Hayward (Mandryka) un vero baritono di agilità, Alfred Reiter e Helena Döse i genitori decaduti della protagonista e di sua sorella.
Molto bravi tutti gli altri componenti, in gran misura della compagnia stabile dell’Opera di Francoforte. Teatro stracolmo a prezzi accessibili; molti giovani in sala; si replica sino a marzo, poi, dall’anno prossimo, va in repertorio con quattro-dieci repliche ogni anno sino a quando lo spettacolo piacerà al pubblico. Nel mondo della lirica italiana si usa criticare il “teatro di repertorio” accusandolo di scarsa qualità, dal momento che maestri concertatori e artisti devono passare da un’opera all’altra di autori e stili differenti. Questa “Arabella” è un’ulteriore smentita che una stagione con pochi titoli, con la pretesa di essere un mini-festival, non possa condurre a un successo finanziario e artistico.
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