In Italia passano quasi inosservati i 60 dalla morte di Richard Strauss, la cui vita (1864-1949) coincise con il trionfo dell’industrializzazione e dei movimenti d’unità nazionale in Germania ed in Italia e con il declino della democrazia in Europa, oltre che con due guerre mondiali. Dopo che il Teatro Lirico di Cagliari ha sostituito il “Der Rosenkavalier” (programmato per fine 2009) con una meno dispendiosa “Bohème”, unicamente il Teatro Carlo Felice di Genova mette in scena un’opera – “Ariadne au Naxos”. L’Accademia di Santa Cecilia ha appena eseguito la “Sinfonia delle Alpi”, al Lingotto l’Orchestra Nazionale Rai ha in programmi vari concerti, tra cui un’esecuzione del grandioso “Morte e Trasfigurazione”. Non mancano altre iniziative per ricordare chi aveva “Hofbusenschangle”- “sempre in seno imperiale” poiché l’Imperatore tedesco, pur amandone la musica, lo considerava “una serpe in seno” per il carattere “indecente” di alcune sue opere. Lo erano? Forse sì, se lette con gli occhiali bigotti della Corte Guglielmina. Strauss, uomo di rara avvenenza e d’enorme successo, corteggiatissimo dalle belle donne di tutto il Vecchio Continente, era credente e fedele: il matrimonio è centrale in tutte le sue opere (“Die Frau ohne Schatten” è un’apoteosi dell’amore coniugale coronato dalla procreazione di figli) e scrisse e compose una deliziosa commedia in musica autobiografica (“Intermezzo”) sulla gelosia della moglie di un direttore d’orchestra super-corteggiato ma leale alla sposa.
A Strauss ed al declino dell’Europa vecchia visto attraverso il “Der Rosenkavalier”, “Il Dom” ha dedicato un intervento l’8 novembre 2008 (Matteo, verifica; forse era il 15 nov).Prendendo spunto da “Ariadne” in scena a Genova sino al 28 febbraio e da due opere raramente rappresentate in Italia (“Die Ägyptische Helena” ed “Arabella”) colte a Berlino ed a Francoforte (nell’ambito dei due dei tanti festival organizzati in Germania per la ricorrenza) vediamo come Strauss lesse l’approssimarsi della fine della democrazia. La prima (di cui esistono due versioni rispettivamente del 1912 e del 1916) corrisponde al suicidio dell’Europa (la prima guerra mondiale); le altre due (rispettivamente del 1928 e del 1933) al tramonto della borghesia in Germania.
Coproduzione tra Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro dell’Opera di Atene e Opera di Oviedo, l’”Arianna” genovese propone un cast di specialisti, tra i quali spiccano l’attore Franz Tscherne nel ruolo recitato del Maggiordomo, Vesselin Stoykov in quello del Maestro di Musica, Elena Belfiore in quello del Compositore, Warren Mok in quello di Bacco, Oksana Dyka in quello di Arianna, Elena Mosuc in quello di Zerbinetta. Sul podio, Juanjo Mena, rende la preziosità di una scrittura in cui l’orchestra è un raffinato giocattolo cameristico di 36 strumenti. Il regista Philippe Arlaud punta sul teatro totale, giocando su forme architettoniche curvilinee e sull’utilizzo di suggestive visualizzazioni. Nella versione del 1916 dell’opera, la satira alla borghesia, centrale all’edizione del 1912, passa in secondo piano. Il vero elemento fondante è la vittoria di Eros su Tanatos, capovolgendo l’assunto classico e romantico della vittoria del secondo sul primo. In “Ariadne” Eros, nel “Prologo” configge la “Dea Musica”, e nel resto dell’opera trascina la virtuosa Arianna tra le braccia di Bacco.
Nelle “settimane straussiane” della Duetches Oper Berlin si alternano sette titoli tra cui due nuovi allestimenti. “Die Ägyptische Helena” è una nuova produzione firmata da un regista italiano relativamente giovane (Marco Arturo Marelli) tra i più noti in Europa e negli Usa. Dopo la guerra di Troia, Menelao vuole passare a vie di fatto con Elena (che lo ha tradito con Paride - e non solo). La trova in Egitto, dove viene persuaso che a Troia era giunto un simulacro (oggi si direbbe un clone) della bella, la quale invece lo attendeva da dieci anni castamente. Dopo una travolgente notte d’amore, Elena riprende le vecchie abitudini; mentre Menelao sonnecchia, lo tradisce con un beduino. Nuova ira dello sposo, che viene convinto di avere fatto (lui) un sogno erotico; si riappacifica con la moglie alla vista della loro dodicenne figliola (concepita prima della guerra di Troia). Naturalmente, c’è più di un pizzico di Freud e molta ironia sul perbenismo borghese alla vigilia della Grande Depressione. Il dialogo è scintillante, la partitura lussureggiante. Marco Arturo Marelli trasporta la vicenda alla fine degli Anni Venti in una “maison de plaisir” al Cairo. Andrew Litton dà una lettura briosa della partitura. Robert Chalin (Menelao) è un tenorone eroico che prende in giro dei tenori wagneriani, tanto robusto (nel canto e nell’aspetto) quando credulone. La giovane Ricarda Merberth è una Elena sensuale e dal vasto registro vocale. Eccezionale Laura Aikin (di casa alla Scala ed al Maggio Fiorentino) per come è transitata da soprano di coloratura a soprano lirico puro con un fraseggio chiarissimo in un ruolo terrificante per durata e equilibrismi vocali. Ancora una volta, il significato: nel declino di una classe dirigente, pare restare solo la famiglia (od il suo simulacro).
“Arabella” è una commedia lirica con “il bazar sublime d’ogni possibile ed impossibile impegno vocale” (lo scrisse Fedele D’Amico) di uno Strauss quasi settantenne. Una famiglia sull'orlo della bancarotta che, nella Vienna sconfitta degli anni immediatamente successivi alla guerra austro-prussiana, gioca le ultime carte puntando su di un buon matrimonio della figlia Arabella. Per questa ragione la sorella piu' giovane, in attesa che un ricco cavaliere si presenti, e' costretta a vivere travestita da ragazzo. Nasce in questo modo un equivoco sul quale si fonda l’intreccio che si conclude con un lieto fine e con una musica del tutto innovativa: un organico ristretto, addio per sempre ai wagnerismi , nessuna concessione alla dodecafonia, una scrittura (scrive Mario Bortolotto) fatta di “schegge e tessere sonore” che “scorrono , riapparendo in momenti del tutto imprevedibili” in cui anche i ritmi di danza hanno una funzione importante.
L’allestimento di Francoforte (coprodotto con il Teatro Reale di Götegorg in Svezia) trasferisce la vicenda ai giorni d’oggi: la crisi è quella finanziaria, il mondo che sta sparendo è quello della finanza à go-go. Una scena unica con pareti mobili. Il bianco e nero è di rigore; si staglia sul resto il magnifico abito da sera azzurro della protagonista. Una regia efficace di Christof Loy. Una direzione musicale cesellata di Sebastiane Weigle. Un cast giovane con voci stupende; Anne Schwanewilms è un Arabella di grande avvenenza fisica e vasta estensione vocale, Robert Hayward (Mandryka) un vero baritono di agilità, Alfred Reiter e Helena Döse i genitori decaduti della protagonista e di sua sorella.
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