Il diluvio universale ha ispirato numerosi compositori – da Donizetti che sul tema ha composto un’opera in tre atti su commissione del San Carlo di Napoli a Malipiero, autore di un delizioso quartetto per archi a Stravinkji le cui ultima opera (The Flood) , la sua unica dodecafonica – è stata pensata per la televisione con un breve intervello per la pubblicità di un dentifricio la cui casa di produzione aveva pagato per la bisogna.
Adesso, in “Prima mondiale” all’Opera di Roma (nella sala, più raccolta) del Teatro Nazionale) ha ispirato Saskia Boddeke, Peter Greenway, e Goran Bregović I primi due hanno avuto l’idea e scritto il testo. Il terzo, notissimo anche in Italia per le musiche con cui ha accompagnato i film d’Emir Kustarica) è l’autore della musica. Non si tratta di un’opera lirica in senso stretto e neanche di teatro in musica. Siamo a metà strada tra l’”istallazione” degli Anni 70 (Xenakis, Stockhausen) ed il “teatro totale” degli Anni 30 (Brecht-Weill). Il tutto, però, con la gamma di tecnologia moderna: live electronics, immagini computerizzate, “Second Life”, e chi più ne ha più ne metta per 90 minuti (senza intervallo) che dopo le recite romane (sino all’8 febbraio) andrà a Reggio Emilia, Milano, al Festival di Santander e forse negli Usa (sarebbe perfetto nella deliziosa sala della Brooklin Academy of Music).
Il pubblico entra in qualcosa di simile all’Acquario di Genova : il palcoscenico è trasformato in una piscina con un piccolo lembo riservato alla “Brigata Sinfonica”, un complesso di 5 elementi che suonano dieci strumenti- e gli spettatori sono circondati da schermi con scene acquatiche e marine), su cinque grandi schermi corrono proiezioni acquatiche e sud-acquatatiche alternate con disegni animati stile “Second Life”. Il testo in prosa è in inglese, spagnolo, francese, con qualche battuta in italiano; recitano Moni Ovadia, Hendrik Aerts, Dory Sánchez. Helga Davis e Maria Pilar Pèrez Aspa cantano.
The Blue Planet” viene chiamato, dagli autori, “oratorio multimediale” poiché strutturato in otto parti come una messa da requiem. L’apologo è semplice e fortemente ambientalista: Dio (con la voce del soprano lirico Maria Pilar, Pèrez Aspa) ha creato il mondo, ma l’uomo lo ha distrutto, cementificando e accumulando montagne di rifiuti. Noè (Ovadia) è un sempliciotto ma viene indotto dall’Alto (che assume, di volta in volta, le vesti d’uomo, d’ermafrodita, di serpente, di bambino, pur cantando da soprano) costruisce l’arca nella speranza che dopo il diluvio universale, ne sorga uno migliore. Al pari di “The Food” di Stravinskji, sua moglie (Helga Davis) è scettica sul valore dell’intrapresa. Non lo sono i loro figli (Aerts, olandese; Sánchez, spagnola, ambedue attori) – belli, sensuali e leggermente incestuosi (ma hanno il compito di ripopolare la terra dopo il diluvio) raccolgono il messaggio di speranza in un mondo pulito. La “drammatizzazione” in senso tecnico è minima ed affidata quasi interamente ai due giovani, che non solo recitano ma anche danzano e nuotano, intrecciando i loro corpi. Si è fatto un certo chiasso sul nudo in scena; in effetti non c’è poiché Aerts e Sánchez sono in costume da bagno per tutto lo spettacolo (che si svolge in piscina); in una delle proiezioni sul maxischermo nuotano sul fondo dell’acqua e si scorgono i genitali di Aerts. Quindi, molto rumor per nulla. Soprattutto dopo i vescovi nudi nella processione di “Die Tode Stadt” in questi giorni a La Fenice.
La fine ed il risorgere del pianeta viene narrato con un occhio ai rapporti tra Dio (il trascendente) e gli essere umani (dal quasi ignavo Noé, alla sua consapevolissima moglie, ai loro sensualissimi figli). Non mancano battute escatologiche in americano da caserma (vengono dalla bocca della moglie di Noé).
Lo spettacolo è, senza dubbio, innovativo ed accattivante. La scrittura musicale di Bregović è molto “mediterranea”: incastra musica balcanica (e gitana), con il melanconico fado portoghese, con echi di composizioni arabe e greche, ma accetta anche il gospel e nel blues per le vere e proprie arie affidate a Helga Davis (voce straordinaria di soprano la cui estensione arriva a ottave da contralto). La musica è, principalmente d’accompagnamento come nei film d’Emir Kustarica. Il risultato complessivo dello spettacolo deve molto all’impianto scenico, ai costumi, alle luci ed ai disegni animati in stile Second Life (Annette Mosk, Marritt Van der Burgt, Marcello Lumaca, Luca Lisci). Aerts e Sánchez meritano un plauso per la capacità di recitare e danzare costantemente nell’acqua, utilizzando una vasta gamma di lingue.
Questo modo di fare teatro in musica attirerà pubblico giovane nei nostri senescenti teatri lirici? E’ maggiormente in linea con quanto si vede a New York, Berlino, Parigi e Londra del “Freud, Freud, I Love You” di Luca Mosca, su libretto di Gianluigi Melega, in “prima mondiale” al Teatro Olimpico di Roma a metà gennaio recensito su “Il Velino” due settimane fa. Merita di essere incoraggiato.
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