VERSO LE ELEZIONI/ La svolta
che Lega e M5s non possono dare all'Italia
Il Governo
Conte non nascerà. Lega e M5s, in vista del nuovo voto, farebbero forse bene a
puntare su un importante fattore per la crescita: l’aumento della produttività.
GIUSEPPE PENNISI 28 maggio 2018 Giuseppe Pennisi
Lapresse
Ora si sta
andando verso un “Governo di tregua” e nuove elezioni. È difficile ipotizzare
quali saranno gli schieramenti. Tuttavia, è plausibile pensare che i programmi
elettorali di Lega e M5S mutueranno diversi punti dal “contratto di governo” concluso
tra le due principali forze politiche che hanno avuto più voti alle elezioni
del 4 marzo scorso. Questa testata ha già sottolineato, subito dopo la
pubblicazione dei risultati del voto, che per quanto la Lega e il M5S si
fossero presentati agli elettori su fronti opposti, e con matrici sociali molto
differenti, c’era la possibilità di coniugare alcuni punti fondanti di una
delle due forze politiche con quelli dell’altra. Abbiamo anche sostenuto che
sarebbe stato preferibile un accordo tra l’intero centro-destra e il M5S sia
per avere una maggioranza parlamentare più vasta (e tale da assicurare un
Governo di legislatura), sia per giungere a una mediazione che includesse un
maggiore numero di “blocchi sociali” e arrivare così a un governo “della nazione”
che si ponesse tra gli obiettivi primari quello di ridurre il divario tra Nord
e Sud.
È quanto è
stato fatto? Non è chiaro. Nel “contratto di governo” si è perso di vista che
il nodo centrale dell’Italia è l’aumento della produttività essenziale per costruire
bene il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti e ridurre, in un lasso di
tempo realistico, le maggiori diseguaglianze sociali. Sarà questo il tema
guardato con più attenzione sia dagli elettori, sia dagli osservatori e
investitori internazionali. La produttività non cresce da circa un quarto di
secolo e oggi il Pil pro-procapite degli italiani è, in termini reali, il 10%
meno di quello che era vent’anni fa, quando l’Italia prese la decisione di
entrare nel gruppo di testa dei Paesi dell’unione monetaria europea.
Per anni ho
sostenuto che a ragione di una decisione errata presa dal ministro del Tesoro
(allora era Guido Carli) e dal Governatore della Banca d’Italia (allora era
Carlo Azeglio Ciampi) dal novembre 1989 l’Italia soffre di un cambio sopravvalutato
che, tuttavia, grazie alle capacità delle nostre imprese, non ha ridotto
l’impulso delle nostre esportazioni alla crescita, pur contenuta, che c’è
stata. Oggi a quasi trenta anni dall’errore commesso è impossibile proporre di
aprire un negoziato sulle “parità centrali” su cui è stato costruito l’euro nel
Trattato di Maastricht. Uscire dalla moneta unica favorirebbe gli esportatori
per un certo lasso di tempo, ma impoverirebbe tutti gli altri italiani. È utile
ricordare che nel 1987, con l’accordo del Louvre tra Francia e Germania, Parigi
decise di agganciare la propria moneta al marco tedesco proprio per “forzare”
un aumento della produttività. Aumento che Oltralpe c’è stato, mentre da noi
non si è visto segno.
In questi
giorni sono usciti due documenti che meritano di essere meditati anche e
soprattutto in vista di elezioni che non saranno molto lontane: il XXII
Rapporto sull’Economia Globale e l’Italia curato da Mario Deaglio per il Centro
di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi (intitolato “Un futuro da costruire
bene”) e il Rapporto del Centro Europa Ricerche “Re-Inventing Europe”. Ambedue
pongono l’Italia su un chiaro sentiero europeo, senza troppi “se” e senza
troppi “ma”. Sta a noi, solo a noi, aumentare la nostra produttività. Su questa
testata abbiamo ricordato che un elemento portante per migliorare la
produttività - l’istruzione e la formazione - ha poco rilievo nel “contratto di
governo”. Un altro elemento portante (la dotazione di un adeguato parco di
infrastrutture) pare scontrarsi con alcune tendenze all’interno di Lega e M5S.
Un terzo ancora - l’informatizzazione- che pur dovrebbero essere nel Dna di una
delle due forze - viene trattato sporadicamente. Si parla - è vero - di
trasformare il Cnel in un Board per la produttività, difficile pensare che con
le scelte fatte per la prossima consiliatura possa essere poco più di un
parlatorio e di un convegnifico.
Solo con
un’Italia più produttiva potremo affrontare meglio le prossime sfide europee e
mondiali, quali la riforma della “governance” dell’eurozona e la possibile
guerra commerciale. Non si tratta di battere i pugni sul tavolo - di solito una
mossa poco utile -, ma di dimostrare a noi stessi e agli altri che siamo
all’altezza. Unica strada per il cambiamento in meglio.
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