FINANZA/ L'investimento
dimenticato da Lega e M5s per la ripresa
Lega e M5s
vogliono creare il Governo del cambiamento. Ma nel loro programma sembra
mancare una leva importante per lo sviluppo dell’economia. GIUSEPPE PENNISI 21
maggio 2018 Giuseppe Pennisi
Lapresse
Una parte
del “contratto di governo” stipulato tra Lega e Movimento Cinque Stelle che
appare carente è quella relativa all’istruzione e in particolare alla scuola.
Non mancano critiche all’azione del Governo Renzi che va sotto il nome di La
Buona Scuola quali l’immissione in massa di “precari storici”, spesso in
materie letterarie, senza tenere conto che le esigenze principali sono di
insegnanti preparati e motivati in materie scientifiche e senza considerare che
gran parte del fabbisogno (di insegnanti) è nel Centro-Nord, mentre gran parte
delle eccedenze (di precari) è nel Sud. Non mancano neanche critiche alla
disorganizzazione (speriamo iniziale e causata dall’improvvisazione)
nell’alternanza scuola-lavoro. Mancano però i lineamenti di un programma
coesivo che renda l’istruzione sia una determinante di crescita (tramite
l’aumento della produttività), sia un elemento di inclusione sociale.
Occorre
ricordare che due economisti, che non si conoscevano e che non si leggevano -
l’americano Charles Kindleberger e l’ungherese Ferenc Janossy -, in libri
pubblicati all’inizio degli anni Settanta, individuarono nell’istruzione e
nella formazione la determinante principale del “miracolo economico” italiano.
Sarebbe difficile affermare oggi che l’istruzione e la formazione possono
essere la leva per una ripresa inclusiva se non si pone rimedio a situazioni
che si leggono sulle prime pagine dei giornali: edifici fatiscenti, insegnanti
anziani e demotivati, bullismo nelle aule.
Eppure
l’istruzione è un investimento che conviene. Agli individui e alla
collettività. I dati Ocse dimostrano che nonostante la forte riduzione del
“premio salariale” (ossia quanto con una laurea si guadagna in più), in Italia
l’istruzione universitaria ha un tasso di rendimento interno finanziario
superiore al 10% per coloro che arrivano alla laurea e non si fermano a un
diploma di scuola secondaria. È un dato aggregato che tiene conto anche dei
“fuori corso” e assume una durata media di sette anni per studi che, incluso il
ciclo magistrale, dovrebbero concludersi in cinque anni. Quindi, chi si laurea
“in corso”, ha un rendimento ancora maggiore.
Non è un
guadagno solo per l’individuo ma per la collettività. Un’analisi della
Fondazione Agnelli, sulla base di dati Ocse-Pisa (l’analisi condotta
periodicamente sull’apprendimento e le competenze dei quindicenni in matematica
e materie scientifiche, le uniche che si prestano a comparazioni
internazionali) conclude che un aumento di apprendimento e competenze di 25
punti Pisa comporta cinque decimi di Pil all’anno in più, consentendo di
abbattere in debito pubblico in meno di una generazione, aumentando la
produttività e facilitando ricerca e innovazione. Sempre la Fondazione Agnelli,
sulla base di dati Itanes (l’associazione che promuove ricerche e studi in
campo elettorale), documenta come l’istruzione comporti un maggiore impegno
politico e sociale.
Tutto ciò
può sembrare ovvio. Sappiamo dalle analisi Ocse-Pisa che in Italia ci sono
differenze marcate tra Nord (in certe regioni i quindicenni hanno un livello
d’apprendimento in matematiche e scienze non inferiori ai loro pari nell’Europa
centrale e settentrionale) e Sud (dove i livelli d’apprendimento sono i più
bassi dell’Unione europea e sfiorano quelli del Nord Africa). Il nodo è cosa
fare? A una scuola elementare a livelli qualitativi simili a quelli del resto
d’Europa segue scuola media di livello insoddisfacente e una tripartizione
(licei, istituti tecnici, formazione professione) in cui solo i licei nel
Centro-Nord hanno livelli di qualità pari alla media dell’Ue.
Nella
funzione di produzione dell’istruzione, l’elemento centrale è l’insegnante. In
Italia, si seguono metodi tradizionali, con una didattica spesso stantia, e
senza incentivi a migliorare. Un programma per il cambiamento dovrebbe includere
un vasto schema d’aggiornamento degli insegnanti in moderne tecniche didattiche
interattive e nell’uso delle tecnologie oggi disponibili, nonché un
allungamento degli orari per ridurre dispersioni e abbandoni. Unitamente a un
sistema di carriere. Lo schema dovrebbe essere articolato su diversi anni,
anche per distribuirne i costi. Potrebbe essere il miglior investimento per la
crescita e l’inclusione sociale.
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