Incognite
finanziarie
Da dove
rischia di partire la prossima crisi globale
GIUSEPPE
PENNISI
Mentre
l’Italia è alle prese con una difficile crisi politica, a livello
internazionale si stanno addensando le nubi di una prossima crisi
finanziaria. Da un lato, l’economia reale di numerosi Paesi e continenti
(unica eccezione gli Stati Uniti) dà segni di rallentamento; ciò non può non
aumentare il peso del debito su Stati, imprese e famiglie che negli ultimi
anni (quando è riapparsa la crescita) hanno utilizzato la leva finanziaria
per migliorare il proprio futuro. Da un altro lato, il 'benign neglect' degli
Usa nei confronti del tasso di cambio del dollaro può essere una miccia
pericolosa. Dopo un primo trimestre in cui il biglietto verde ha perso valore
rispetto alle altre principali valute, a ragione proprio del buono stato di
salute dell’economia americana (crescita quasi al 3% l’anno, tasso di
disoccupazione sul 2,4% delle forze di lavoro), le autorità monetarie hanno
cominciato a stringere leggermente i freni nel timore di un aumento
dell’inflazione con la conseguenza che il dollaro si sta rafforzando e che
tutti coloro (soprattutto Stati e imprese che nel recente passato hanno
venduto dollari per acquistare titoli ad alto rendimento in mercato
emergenti, in gergo 'carrytrade') stanno accusando forti perdite. Ciò sta
aggravando la situazione di quella che potrebbe essere la determinante della
prossima crisi: il mercato obbligazionario.
Non tanto,
però, quello dei titoli di Stato, schiacciati dal peso di forti debiti
pubblici aggravatisi durante la crisi iniziata nel 2008, quando quello dei
corporate bonds, obbligazioni emesse da imprese, grandi e piccole. Negli anni
in cui, anche a ragione delle politiche monetario mirate a tornare alla
crescita, i tassi d’interesse erano bassi, le aziende hanno utilizzato la
leva obbligazionaria per uscire dalla crisi, prima, e per espandersi, poi.
Un’analisi di Standard & Poor Global conclude che a fine 2017, il 37%
delle grandi imprese a operazioni mondiali erano eccessivamente indebitato
(rispetto, per intenderci, al 32% nel 2008, quando scoppiò la crisi).
Mediamente il valore dei corporate bonds è diminuito fortemente; ora il
rating medio è BBB- poco più del BB+ delle 'obbligazioni spazzatura' di più
alto grado. Per il momento, ciò non sembra preoccupare molto i grandi
investitori istituzionali. Ma il risveglio potrebbe essere brutale.
Anche in
quanto, in questi anni, le banche centrali hanno messo in atto una rete di
salvaguardia nei confronti di crisi del debito pubblico, ma i risultati degli
sforzi per definire una rete analoga per i corporate bonds e l’indebitamento
bancario hanno avuto risultati molto meno incoraggianti. Lo si deduce
dall’Occasional Paper No 2017 ('Strengthening the Glbal Financial Safety
Net') appena messo in rete dalla Banca centrale europea (Bce), un lavoro
uscito il 4 maggio e – si badi bene – firmato non da un dirigente di peso
della Bce, ma da suoi colleghi di tutte le banche centrali dell’eurosistema.
©
RIPRODUZIONE RISERVATA
|
mercoledì 9 maggio 2018
Da dove rischia di partire la prossima crisi globale in Avvenire 10 maggio
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento