I sovranisti, il debito e
l’euro. La versione di Pennisi
Dopo il
braccio di ferro sulla nomina di Savona, chi andrà all'ufficio di Via XX
Settembre dovrà comunque affrontare la stagnazione della produttività del Paese
Questa nota
viene redatta in un fine settimana molto caldo non solo a ragione dell’aumento
della temperatura atmosferica ma anche e soprattutto perché è in atto un
“braccio di ferro” tra le forze politiche che hanno concluso un “contratto di
governo” ed il Quirinale (a cui, costituzionalmente, compete la nomina dei
ministri). Al centro del dibattito c’è la candidatura del Prof. Paolo
Savona a ministro dell’Economia e delle Finanze in un contesto in cui
lo spread sta crescendo, i mercati si annunciano instabili ed
alla riunione dell’Ecofin a Bruxelles sui requisiti di capitale per le banche
l’Italia si è trovata in compagnia solo della Grecia nell’opporsi alla
posizione degli altri. Non solo, la stampa internazionale, principalmente
quella tedesca e britannica, ironizzano (amaramente) sulla situazione del
nostro Paese. Infine, è emerso un manualetto del 2015 della Link Campus
University (dove insegna il prof. Antonio Maria Rinaldi, allievo
del prof. Paolo Savona) con prescrizioni dettagliate su come uscire dall’euro e
“ritrovare la sovranità monetaria”.
Formiche ha preso posizione sulla vicenda
della nomina del ministro dell’Economia e delle Finanze. Conosco Paolo Savona
da quaranta anni e non credo che sia lieto di trovarsi al centro di
questo bailamme e di essere diventato il simbolo del
“sovranismo all’italiana”. È certamente ben consapevole dei rischi di un
ulteriore aumento dello spread ed ancora di più di quelli di
un’uscita dall’unione monetaria di cui siamo diventati membri del gruppo di
testa, soprattutto grazie agli sforzi del suo maestro Guido Carli.
Tuttavia,
ormai, in questa bufera, non si vedono alternative ad un governo con Savona a
Via Venti Settembre (che avrà come primo compito quello di rinfrancare) oppure
a nuove elezioni in cui le forze “sovraniste”, sentendosi (a torto od a
ragione) defraudate di quello che ritengono (ancora a torto od a ragione) un
loro legittimo diritto, potranno conquistare nuove fasce di elettori. È
difficile preconizzare come andrà a finire ma è verosimile che la conclusione
dello “scontro” si avrà lunedì ove non domenica (dopo l’ultima tappa del giro
d’Italia). Non sarà necessariamente una conclusione che faciliterà la crescita
dell’Italia. E la soluzione dei suoi problemi centrali ed interrelati:
stagnazione della produttività e alto debito pubblico.
Sul primo
(la produttività) il “contratto di governo” – come ho avuto modo di
sottolineare altrove – prevede molto poco. Anche in materia di debito pubblico
“il contratto” è vago, a parte una proposta (successivamente rientrata) su come
contabilizzare le obbligazioni del Tesoro italiano presso la Banca centrale
europea. Invece, proprio il 25 maggio mentre si aggravavano le tensioni “ad
alzo zero”, è stato diffuso un interessante lavoro di Lorenzo Bini
Smaghi e Michela Marcussen, rispettivamente presidente e
capo economista della Société Genérale (SUERF Policy Note n.35). È un
lavoro tecnico, che non riguarda solamente l’Italia (anche se analizza a fondo)
ma l’intera eurozona perché negli anni della crisi il debito pubblico medio
dell’area è passato dal 60% al 90% del Pil.
In breve, il
lavoro prende avvio dal fatto che l’eurozona è alla prese con un dilemma. Da un
canto, è ampliamente riconosciuto che la sua struttura e la sua governance
debbono essere rafforzate, le principali proposte per raggiungere questo
obiettivo hanno incontrato serie difficoltà politiche. Gli Eurobonds,
con genuina condivisione del rischio, porterebbero stabilità e benefici
economici ma richiedono un trasferimento delle politiche di bilancio dagli
Stati membri all’Unione che non appare probabile nel prevedibile futuro.
D’altro canto, mantenere la situazione attuale significa esporre la fragilità
dell’area dell’euro ad una nuova crisi (quale – aggiungiamo noi – un marcato
sovranismo in uno dei grandi Paesi dell’eurozona). Il documento propone un
periodo di transizione ventennale per quanto riguarda la regola del Fiscal
Compact relativa alla riduzione dello stock di debito che supera il
60% del Pil sulla base di un ventesimo l’anno. Il debito coerente con i vincoli
annuali del Fiscal Compact sarebbe “viola” e protetto da
qualsiasi ristrutturazione basata su programmi dell’European Stability
Mechamism. Il debito che supera i limiti del Compact sarebbe
“rosso” e non avrebbe alcuna garanzia . Dopo il periodo di transizione
ventennale, tutti i debiti diventerebbero “viola” e potrebbero essere la base
per veri Eurobonds.
La proposta,
se recepita, incentiverebbe la disciplina di finanza pubblica e limiterebbe i
rischi di nuove costose crisi per l’area dell’euro.
Chi andrà
alla scrivania di Quintino Sella in Via Venti Settembre dovrebbe prenderla in
considerazione e potrebbe farla diventare un contributo dell’Italia al
dibattito sull’eurozona.
27/05/2018
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