giovedì 3 maggio 2018

DEBUTTA A ROMA “BILLY DUBB” DI BENJAMIN BRITTEN TRATTO DA UN RACCONTO DI HERMAN MELVILLE in IL Dubbio 4 maggio


DEBUTTA A ROMA “BILLY DUBB” DI BENJAMIN BRITTEN TRATTO DA UN RACCONTO DI HERMAN MELVILLE
L’impiccaggione del mozzo, il rimorso del giudice...
GIUSEPPE PENNISI
Billy Dubb di Benjamin Britten debutta Roma ( dove non è stata mai messa in scena) l’ 8 maggio. E’ un allestimento importante, coprodotto con i teatri del’opera di Madrid e la Royal Opera House di Londra con la regia di Deborah Warner e la direzione musicale di James Conlon.
Il lavoro è tratto da un racconto di Herman Melville; scritto tra il 1888 ed il 1891 e pubblicato postumo nel 1924. Mentre la disorientante grandezza di Moby Dick è imperniata sulla sfida dell’uomo contro un universo in cui c’è posto solo per il mare, per le balene e per le stelle ma non per Dio, Billy Budd è una navigazione verso la straordinaria mitezza: il mondo è una nave ( dove domina la crudeltà) ma è sovrastato dalla pace del mare e della serenità dell’accettazione del dolore e del torto. Nelle interpretazioni del racconto, il protagonista ( un giovane mozzo balbuziente che non riesce ad articolare il proprio pensiero) è visto o come la natura o come un angelo – nessun dei due può parlare. Dal racconto è stato tratto un film di grande successo nel 1962 ( che spesso ritorna in televisione); diretto ed interpretato da Peter Ustinov ( altri protagonisti Terence Stamp e Robert Ryan). Nel film il racconto di Melville è letto come la lotta tra il bene ed il mare.
L’opera di Benjamin Britten, pur restando fedele alla trama, differisce sia del racconto che dal film in quanto, nel libretto di E. M. Forster e Eric Crozier, il protagonista ( sin dal prologo) è il Captain Vere ( parte scritta appositamente per Peter Pears, compagno di vita del compositore) il quale ricorda gli avvenimenti in cui, da presidente di un tribunale militare, decretò la morte del giovane mozzo Billy Budd, per essendo convinto della sua innocenza, e ne soffrì tutta la vita. Nel film Vere ( Peter Ustinov) muore in battaglia poco dopo l’impiccagione i Bludd.
Il racconto è un apologo sul conflitto tra bene primordiale e male primordiale, da un lato, e la giustizia umana ( costretta, a volte e suo malgrado, a favorire il secondo), dall’altro. Siamo nel 1797, Billy è un giovane marinaio tanto bello quanto innocente; ha solo un difetto, la balbuzie ( per- ché nessuno, neanche i migliori, sfuggono alle tracce del peccato originale). Ha la simpatia di tutti, soprattutto del comandante, Captain Vere. L’innocenza si incunea nella violenza di bordo e mette a repentaglio il ragazzo. Il sadico Serg. Claggart è attratto fisicamente da Billy, il quale neanche se ne accorge, Claggart lo accusa di fomentare un ammutinamento. Messo a confronto con le accuse, Billy è colto da una crisi di balbuzie e non sa difendersi; fende un pugno a Claggart, facendolo cozzare con uno stipite e, involontariamente, uccidendolo. Vere sa che Billy non ha colpa, ma, in guerra ( e con vascelli francesi che stanno per attaccare), l’assassinio di un sottufficiale comporta l’impiccagione. Nel morire, Billy ringrazia Dio per la vita che gli ha dato e gli chiede di benedire Vere.
I due temi principali di quasi tutte le opere di Britten – la sopraffazione dell’innocente e l’ “essere diverso” – sono centrali alla sua lettura data alla novella di Melville, al pari di quanto quello della giustizia ( ingiusta) – si pensi a Peter Grimes o a Lo Strupro di Lucrezia. Dato l’orientamento sessuale di Britten non mancano, nell’opera, momenti omoerotici. Vengono, però, trattatati con pudore. La differenza principale tra racconto e libretto è che, nell’opera, la vicenda è un lungo flashback dell’ormai anziano ( e contrito) Vere, il quale, nel ricordare l’episodio fondante della sua avventura umana, medita sul suo significato e soprattutto sul suo ruolo come giudice diventato, per ragione di Stato, “ingiusto”.
Nella prima versione, del 1951, i quattro atti erano strutturati come i movimenti di una sinfonia – il primo un andante a carattere narrativo, il secondo un notturno meditativo, il terzo uno scherzo pieno di azione ed il quarto un grande finale. Nella terza ( quella del 1961, ormai entrata di uso corrente), i quattro atti sono compattati in due e i movimenti si fondono in un sinfonismo dominato dai colori del mare ( alternarsi tra re bemolle maggiore e re minore), della bontà e bellezza ( sì naturale), del male ( fa) e dalla giustapposizione tra do e la. Ce ne è anche una versione ridotta nell’orchestrazione sia nel numero dei solisti ( la prima e la terza hanno 20 ruoli maschili, ed un doppio coro), appositamente concepita per tournée. La prova che l’opera sulla ‘ giustizia ingiusta’ fosse tanto cara al compositore è fornita dal fatto che ne fece tre versioni.
Benjamin Britten – con Richard Strauss e Leòs Jànaceck uno dei tre più grandi compositori operistici del Novecento – aveva poco più di 35 anni quando compose Billy Budd. Era già acclamato come il maggiore musicista britannico, in pratica, il “kappelmeister” alla Corte di Sua Maestà; aveva composto Gloriana, opera ufficiale per l’incoronazione di Elisabetta II. In una Corte protestante e in un Paese in cui era in vigore una legislazione vittoriana in materia sessuale ( quella che aveva portato Oscar Wilde in galera), era religioso fervente, ma gay, tendenza che tenne al riparo della curiosità pubblica pur convivendo per tutta la vita adulta con il tenore Peter Pears e inserendo notazioni omo- erotiche in molte sue opere, soprattutto nell’ultima A Death in Venice– “Una morte a Venezia” dal romanzo di Thomas Mann. Billy Budd è lavoro di grande respiro, ormai in repertorio nei maggiori teatri. Lo si è ascoltato alcuni anni fa a La Fenice e successivamente al Regio di Torino e al Carlo Felice di Genova. E’ un lavoro con unicamente voci maschili ed un coretto di voci bianche. A Roma i protagonisti saranno Toby Spence ( Vere), Jacques Imbrallo ( Budd) e John Relyera ( Claggart).
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TRA I TEMI PRINCIPALI CHE ATTRAVERSANO LE OPERE DI BRITTEN EMERGONO LA SOPRAFFAZIONE DELL’INNOCENTE E DEL DIVERSO, ENTRAMBI SCHIACCIATI DAL PESO DELLA “GIUSTIZIA INGIUSTA”

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