LA ENTARTETE MUSIK, MESSA AL BANDO DAI NAZISTI, È
PROTAGONISTA CON CINQUE OPERE NEI MAGGIORI TEATRI ITALIANI
Il Maggio Fiorentino apre con Cardillac del
degenerato Hindemith
Il 12 aprile su questa testata abbiamo parlato
de “La Lady Macbeth che fece paura a Stalin” in occasione di una serie di
rappresentazioni dell’opera di Dmitri Šostakovic al San Carlo di Napoli. Molto
più numerosi i titoli della entartete musik ( musica degenerata), l’appellativo
dato da Goebbels ai lavori di compositori – numerosi quelli di stirpe e cultura
ebraica - non allineati agli stilemi nazisti e vietati, quindi, in Patria.
Nonostante che, per decisione del Duce e Capo del governo e quasi per ripicca
nei confronti dell’alleato, questi autori venissero eseguiti in Italia. Tra
l’altro, Benito Mussolini promosse l’organizzazione del festival di musica
contemporanea a Venezia, invitando numerosi esponenti di grido della entartete
musik, quasi a contrapporsi con quello di Salisburgo e con la palese volontà di
irritare i nazisti.
La entartete musik è tornata nei “luoghi della
musica” di Austria e Germania, soprattutto in quella Salisburgo che era stata
una roccaforte della cultura musicale nazista. È anche rientrata in Italia.
Tuttavia soltanto in questi mesi, ben cinque titoli sono nei maggiori teatri
italiani: Cardillac di Hindemith è l’opera
inaugurale del Maggio Musicale Fiorentino ( 5 maggio), Erwating ( Attesa) si ascolta al Teatro dell’Opera di Roma il 17 maggio,
Sancta Susanna ancora di Hindemith arriva in un nuovo
allestimento al Teatro Lirico di Cagliari il 18 mag-
gio per varie repliche, e La mano
felice di Berg e il Castello di Barbablu in una produzione del controverso duo Ricci/ Forte giungono in
autunno al Teatro Massimo di Palermo, sempre sensibile alla musica del
Novecento ed a questo tipo di repertorio.
Nello spazio di un articolo è impossibile anche
solamente tracciare il contenuto di questi lavori messi al bando nella Germania
nazista sia per motivi musicali ( si allontanavano dalla musica tonale ed
abbracciavano l’espressionismo e la dodecafonia) sia per i loro libretti (
sovente di protesta contro ‘ i poteri costituiti’ e perché sessualmente
espliciti) sia perché di compositori ebrei o avevano ascendenza ebraica.
Ci soffermiamo sui due lavori di Paul
Hindemith, compositore prolifico e grande teorico che venne dichiarato
“degenerato” più tardi degli altri, in un discorso di Goebbles allo stadio di
Berlino forse perché sua moglie aveva lontani parenti ebrei e perché le due
opere in programma in queste settimane – Sancta Susanna e Cardillac – contengono (
soprattutto la prima) aspetti che hanno dato loro problemi anche con le censure
italiane, Sancta Susanna è un atto unico di meno
di mezz’ora ( a Cagliari viene abbinato con una nuova produzione di
Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni) del 1922, in un
momento di grande libertà espressiva nella Repubblica di Weimar. Composto come
parte di un trittico per l’opera di Francoforte, da un Hindemith che aveva
appena 25 anni. Il testo, un atto unico di August Stramm tratto da un racconto
del medesimo autore basato su una leggenda dei tempi del confronto tra Riforma
e Controriforma; richiede un vasto organico orchestrale ma solo tre voci in
scena ( un soprano drammatico e due mezzo soprani), nonché la bre- vissima
partecipazione di due attori ed un coro femminile nel finale. Una giovane
suora, in odore di santità per la sua dedicazione incessante alla preghiera che
le fa dimenticare anche di nutrirsi, ascolta, per caso, i gemiti sessuali di
due giovani nel giardino vicino alla cappella del convento. Ciò innesca un
crescente turbamento: dal dubbio che “la gioia” può essere non nella preghiera
ma nell’atto sessuale sino ad un auto- erotismo sempre più sfrenato, al
denudarsi sull’altare ed al tentare di godere pure con la statua del Cristo in
Croce. Ciò sconvolge le consorelle, entrate nella cappella per i Vespri, che
reagiscono gridando “Satana! ”.
L’opera creò scalpore: nel 1922; Fritz Busch si
rifiutò di concertarla considerandola oscena e blasfema. Nel 1977, la “prima”
italiana al Teatro dell’Opera di Roma fu segnata da tumulti in sala, e da una
denuncia nei confronti del Sindaco e del Sovrintendente; la magistratura
impiegò tempo prima di archiviarla. Più di recente, in pieno Ventunesimo
secolo, ci vollero mesi prima che Riccardo Muti riuscisse a farla mettere in
scena alla Scala; in effetti, la presentò al Teatro Alighieri di Ravenna. Ciò
indica che i bigotti non albergavano solo negli Anni Venti e Trenta.
Hindemith era un credente ( come appare
chiaramente in Mathis der Maler (
Matteo, il Pittore) in cui la Fede e l’Arte pongono il
protagonista al riparo dalle guerre e degli odii. L’opera nasce, al pari di
Salomé e Elektra di Richard Strauss, in un ambiente e in
un clima in cui i giovani intellettuali erano fortemente influenzati da Sigmud
Freud. Il lavoro ha origine anche in un contesto di ribellione anti- romantica
ed anti- wagneriana da parte della “giovane scuola” tedesca. Quindi, non solo
la concisione ma il virtuosismo di basare la scrittura, e orchestrale e vocale,
sulle variazioni di un unico tema musicale. L’opera è stata anche pensata per
un allestimento leggero in un teatro non grande- quale la Alte Oper di
Francoforte. Quando venne finalmente presentata alla Scala, la messa in scena
era grandiosa e suggestiva, nonché più esplicita, nei nudi e nelle scene di
sesso, del necessario.
Cardillac è un lavoro maturo di cui
Hindemith compose due differenti edizioni, una per Dresda nel 1926 ed una per
Zurigo del 1952. Si mette in scena di solito la seconda. È la storia di
un’ossessione, quella di un artista incapace di staccarsi dalle proprie
creazioni arrivando all’emarginazione, all’omicidio e al linciaggio del popolo/
pubblico. Paul Hindemith compose l’opera influenzato dai capolavori
dell’espressionismo tedesco: le atmosfere cupe e tenebrose di una Parigi in
preda a continui omicidi sono facilmente accostabili alle spigolose
ambientatazioni in bianco e nero di Das Cabinet des Dr. Caligari, e la stessa pazzia di Cardillac è un delirio portato all’esagerazione,
oltre la morte. Cardillac è un orafo, ma più che un artigiano che produce
oggetti di consumo si sente un artista, un creatore; la sua furia omicida
sembra colpire chi considera i suoi gioielli come come mezzi di distinzione
sociale o di seduzione, incapaci di comprendere il loro valore artistico: il
diverso valore delle opere per il loro creatore e per coloro che le acquistano
è il nodo centrale del lavoro. Tutti temi che non andavano bene al palato
nazional- socialista.
L’APPELLATIVO FU DATO AL COMPOSITORE IN UN DISCORSO DI
GOEBBLES ALLO STADIO DI BERLINO FORSE PERCHÉ SUA MOGLIE AVEVA LONTANI PARENTI
EBREI
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