giovedì 31 maggio 2018

Diversi piani per tagliare il debito Ma al centro c’è sempre l’Esm il fondo salva-Stati dell’Europa in Avvenire 31 maggio


Diversi piani per tagliare il debito Ma al centro c’è sempre l’Esm il fondo salva-Stati dell’Europa
La 'tempesta' sui mercati finanziari scatenasi all’inizio della settimana non sarebbe così grave se il debito pubblico del’Italia (pari al 132% del Pil) non dovesse rifinanziarsi (per circa 400 miliardi di euro quest’anno) e se il costo del rifinanziamento non aumentasse, causando un incremento di quello stock di debito che, con il Trattato di Maastricht ci siamo impegnati a portare al 60% del Pil. Ossia a più che dimezzarlo. Siamo il solo dei grandi Paesi dell’eurozona ad avere un debito pubblico così elevato, come evidenziato da una serie di articoli apparsi su Avvenire negli ultimi tre mesi. A ragione della crisi del 2008-2011 (in Italia trascinatasi sino al 2016), il debito pubblico è aumentato in numerosi altri Paesi Ue: da una media del 60% del Pil quando oltre un quarto di secolo fa si negoziava l’unione monetaria siamo arrivati al 90%.
Da tempo, infatti, la strategia sembra essere quella di stabilizzare il debito per poi giungere a una graduale flessione. Una strategia che proprio negli ultimi giorni è parsa fragile. Anni fa, il governo Letta chiese al Cnel di mettere a confronto i vari piani di rientro dal debito. Emersero diverse proposte, i documenti presentati nel corso di un seminario sono nel sito del Cnel, ma ormai obsoleti. Sempre ai tempi del governo Letta, il centro studi Astrid presentò un’ampia analisi con una gamma di proposte. Il Governo cadde prima che si potessero esaminare questi confronti d analisi.
Di recente, sono state presentate due proposte innovative. Il 25 maggio mentre si aggravavano le tensioni 'ad alzo zero' sulla formazione del governo e i mercati cominciavano a fibrillare al calor bianco, è stato diffuso un interessante lavoro di Lorenzo Bini Smaghi e Michela Marcussen, rispettivamente presidente e capo economista della Société Genérale. È un lavoro tecnico, che non riguarda solamente l’Italia (anche se analizza a fondo il mercato obbligazionario italiano), ma l’intera eurozona. In breve, il lavoro prende avvio dal fatto che l’area dell’euro è alla prese con un dilemma. Da un canto, è ampiamente riconosciuto che la sua struttura e la sua governance debbono essere rafforzate, ma le principali proposte per raggiungere questo obiettivo hanno incontrato serie difficoltà politiche. Gli Eurobond, con genuina condivisione del rischio, porterebbero stabilità e benefici economici, ma richiedono un trasferimento delle politiche di bilancio dagli Stati membri all’Unione che non appare probabile nel prevedibile futuro. D’altro canto, mantenere la situazione attuale significa esporre la fragilità dell’area dell’euro a una nuova crisi (quale – aggiungiamo noi – un marcato sovranismo in uno dei grandi Paesi dell’eurozona). Il documento propone un periodo di transizione ventennale per quanto riguarda la regola del Fiscal Compact relativa alla riduzione dello stock di debito che supera il 60% del Pil sulla base di un ventesimo l’anno. Il debito coerente con i vincoli annuali del Fiscal Compact sarebbe 'viola' e protetto da qualsiasi ristrutturazione basata su programmi dell’European Stability Mechanism (Esm), il cosiddetto 'fondo salva-Stati'. Il debito che supera i limiti del Compact sarebbe 'rosso' e non avrebbe alcuna garanzia. Dopo il periodo di transizione ventennale, tutti i debiti diventerebbero 'viola' e potrebbero essere la base per veri Eurobond. Attenzione, i benefici non si vedrebbero tra vent’anni ma subito, perché se la strada viene intrapresa, si incentiverebbe la disciplina di finanza pubblica e limiterebbe i rischi di nuove costose crisi per l’area dell’euro.
Quasi in parallelo è stata formulata una proposta da Marcello Minenna (Consob), Roberto Violi (Bankitalia), Giovanni Dosi (Sant’Anna di Pisa) e Andrea Roventini ( Sant’Anna di Pisa). Occorre ricordare che Minenna è stato per alcuni giorni assessore della giunta Raggi a Roma e Roventini candidato al ministero dell’Economia del M5S. La proposta è imperniata sull’utilizzo dell’Esm per rifinanziare a tasso agevolato il debito in scadenza, stipulando, in cambio del tasso agevolato, una polizza al Fondo per assicurarlo dai rischi. Il costo delle polizze varierà a seconda del 'rischio Paese'. Nell’arco di dieci anni, tutti i Paesi avrebbero i debiti assicurati e il Fondo potrebbe investire a lungo termine in infrastrutture con i premi assicurativi. È uno schema ingegnoso ma complesso e politicamente più difficile da digerire di quello Bini Smaghi e Marcussen.
Giuseppe Pennisi
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