Unione
bancaria e riforma Eurozona test per il nuovo governo
GIUSEPPE
PENNISI
L’Italia
uscita dalle urne rischia di giocare un ruolo marginale nelle due partite
chiave per il futuro dell’Europa: la riforma dell’Eurozona e il completamento
dell’Unione monetaria.
Le
Cancellerie economiche europee stanno lavorando sui dossier a pieno ritmo e, in
attesa di capire se Roma potrà sedersi al tavolo con un nuovo esecutivo,
saranno l’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il premier Paolo
Gentiloni ha tessere le fila. molto complesso: la riforma dell’eurozona.
L’obiettivo temporale è ambizioso: giungere all’approvazione dei lineamenti di
fondo al Consiglio Europeo del prossimo giugno. Cosa motiva simile fretta? La
lezione principale tratta dalla crisi del 2008- 2016 è che l’unione monetaria
non sarebbe in grado di resistere ad un nuovo urto di pari entità; per reggere
alla crisi iniziata nel 2007, sono stati creati nuovi strumenti (ad esempio il
Quantative easing) e nuove istituzioni (l’Esm e le agenzie per il monitoraggio
delle istituzioni finanziarie e dei fondi previdenziali). Si è inoltre dato
vita a due dei tre pilastri di un’unione bancaria e si è progettata un’unione
europea dei capitali. Ma la nuova costruzione comune va ora completata.
Tenendo pure
conto che ’ultima crisi ha causato un aumento del debito pubblico medio
dell’eurozona dal 60% del Pil al 90% nel 2017. Già nel 1787 Alexander Hamilton
dimostrò che lasciare il fardello del debito ai singoli Paesi non è compatibile
con un’unione monetaria. Le misure spesso restrittive di politica fiscale
adottate in numerosi Paesi, inoltre, hanno dato corpo o rafforzato movimenti
anti-europei di varia natura e colore. A cui si aggiunge ora la possibilità di
un Italia guidata da forze non propriamente filo-europee. Tutto ciò rende
l’unione monetaria e la stessa Ue fragili. Un nuovo choc globale manderebbe al
tappeto entrambe.
Il guaio è
che qualche scricchiolio si comincia ad avvertire. La crescita americana è nel
nono anno e raramente gli Stati Uniti hanno avuto un periodo di espansione
superiore ai dieci anni. Sul piano europeo, il QE ha immesso notevole liquidità
nel sistema, incoraggiando, indirettamente, comportamenti avventati e
aumentando il rischio di 'bolle'. Non mancano proposte in documenti di
economisti, alcuni a titolo unicamente personale altri con un crisma di
ufficiosità (come il paper di quattordici economisti – sette francesi e sette
tedeschi, tutti considerati, a torto od a ragione, vicini ai rispettivi governi
o il 'non paper' dell’ex ministro delle Finanze tedesco Schäuble – ma non si sa
se ci sono posizioni ufficiali.
Dovrebbe
aprire la danze la Commissione europea con un documento che verrebbe diramato
il 13 marzo diretto a completare (anche se solo provvisoriamente) l’Unione
bancaria, accelerando la ripulitura dei crediti incagliati o non esigibili nei
bilanci delle banche e armonizzando le regole nazionali per le risoluzioni
bancarie. Si prospetterebbe una 'garanzia' (non una condivisione dei rischi)
per i depositi in conto corrente. Si delineerebbe anche un ampliamento delle
funzioni del’European Stability Mechanism (in gergo giornalistico il Fondo
Salva Stati) al fine di consentire misure preventive ed un’eventuale
trasformazione in un Fondo Monetario Europeo.
Queste e
altre proposte, in fase di preparazione, arrivano in un momento complicato per
l’Italia. Che rischia di perdere il treno verso la nuova Europa.
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Entro giugno si ridisegna l’Europa.
L’Italia in stallo rischia di perdere il posto ai tavoli che contano
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