Il mondo è cambiato. Drasticamente. Più di quanto non ce ne siamo
accorti. L’attenzione è stata rivolta a numerosi mutamenti, specialmente a
quelli collegati all’economia dell’informazione e della comun azione ed alle
nuove forme di ‘finanza tecnologica’, nonché alle grandi aree commerciali ed ai
vasti mercati comuni che comportano una maggiore attenzione al codice di norme
e giurisprudenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) per evitare
scaramucce e guerre commerciali che rischiano di danneggiare tutte le parte in
causa.
C’è stata poca attenzione alla formazione di veri e propri blocchi
monetari. All’inizio dei negoziati che portarono all’’unione monetaria europea’
alcuni ipereuroentusiasti vagheggiarono che prima o poi la moneta unica
dell’Europa in via di integrazione avrebbe, se non soppiantato il dollaro come
principale unità di riserva, di scambio e di valorizzazione nelle transazioni
internazionali, acquisito ‘pari dignità’con il ‘greenback’ degli Stati Uniti. Li
smentì un lavoro di Giorgio Gomel, allora al servizio studi della Banca
d’Italia, il quale mostrò quanto lunga, difficile e tutta in salita fosse la
strada.
Ora un importante lavoro empirico di Camilo E. Tovar e di Tania Mohd
Or, ambedue del dipartimento ricerca del Fondo Monetario Internazionale
(‘Reserve Currency Blocs:a Changing International Monetary System? IMF Working
Paper N.18/20) delinea i ‘blocchi monetari’ sulla base delle riserve accertate
e solleva il nodo di fondo: se e quanto in questi anni il sistema monetario
internazionale non sia cambiato, E necessiti quindi di nuove regole. Sotto il
profilo tecnico, lo studio (in corso di pubblicazione) quantizza il grado di
diversificazione monetaria utilizzando regressioni statistiche delle
transazioni monetarie per determinare in che grado le monete nazionale
appartengano un blocco di monete di riserva. In questo modo vengono calcolate
le dimensioni di ciascun ‘blocco monetario’. L’aspetto chiave del lavoro e la
quantizzazione del ‘blocco del renmimbi’ , la moneta della Repubblica Popolare
Cinese.
La conclusione è che il ‘blocco del dollaro’ continua a dominare ; è
pari al 40% del Pil mondiale. Lo segue il ‘blocco del renmimbi’ (30% del Pil
mondiale) e terzo ed ultimo tra i grandi ‘blocchi’ è quello dell’euro (quasi il
20% del Pil mondiale). L’area della sterlina (un tempo importantissima) e
quella dello yen (anche essa una volta molto vasta) si dividono il restante 10%
del Pil mondiale e si stanno rimpicciolendo, e diventando marginali.
Questi dati impongono una riflessione. Da un lato i ‘blocchi
monetari’corrispondono in larga misura alle vaste aree di libero scambio. Da un
altro, un ruolo relativamente minore del ‘blocco dell’euro’ non solo conferma
lo studio di Giorgio Gomel di circa trent’anni ma rispecchia le lenta crescita
del continente vecchio e quella, invece, rapida dell’Asia, in particolare
dell’Estremo Oriente e pone un importante interrogativo di economia reale. Cosa
frena la produttività nel continente vecchio? Solo la demografia? Od anche
l’affastellarsi di regole e regolette che ci siamo dati, spesso sotto impulso
delle istituzioni europee?.
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