mercoledì 14 marzo 2018

DIALOGUES DES CARMÉLITES/ La grande musica religiosa moderna a Bologna in Il Sussidiario 14 marzo



DIALOGUES DES CARMÉLITES/ La grande musica religiosa moderna a Bologna
L’11 marzo Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc, su testo di Georges Bernanos, è giunto al Teatro Comunale di Bologna per alcune recite. GIUSEPPE PENNISI 14 marzo 2018 Giuseppe Pennisi
Foto di Rocco CasaluciFoto di Rocco Casaluci
L’11 marzo Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc, su testo di Georges Bernanos, è giunto al Teatro Comunale di Bologna per alcune recite in un’edizione coprodotta con il  Théâtre des Champs- Elysées di Parigi e con il Théâtre La Monnaie di Bruxelles. E’ una delle maggiori opere d’ispirazione religiosa dell’ultimo secolo. 
Commissionata dall’editore Ricordi per il Teatro alla Scala, debuttò in versione italiana, il 26 gennaio 1957 (data alla quale allora aprivano le stagioni scaligere.). La “prima rappresentazione” francese si sarebbe vista all’Opéra sei mesi dopo. Nei dodici mesi successivi, rappresentazioni (oltre che in Francia) in teatri italiani, a Londra, a Vienna e negli Stati Uniti. Il lavoro di Poulenc su testo di Geroges Bernanos, inizialmente concepito come una sceneggiatura per un film e ricavato da un episodio realmente accaduto nel 1794 ossia poco prima della fine di Robespierre (e da un romanzo tedesco del 1931 – attenzione alla data! - Die Letze am Schafott, (L’ultima al patibolo), di Gertrude von Le Fort) tratta di un gruppo di monache che di fronte al tribunale giacobino vanno alla ghigliottina piuttosto che abiurare alle loro idee più profonde.
Il romanzo di Gertrude von Le Fort venne letto, in Germania, come una denuncia dell’intolleranza sia del nazismo strisciante che del bolcevismo imperante in Unione Sovietica. La sceneggiatura di Georges Bernanos poneva, invece, l’accento sulla fede cattolica come barriera contro i giacobinismi. Come ricorda Stefania Franceschini in Francis Poulenc – Una Biografia ( Zecchini Editore, 320 pagine € 23) il compositore era diventato famoso sia come acclamatissimo pianista sia per il suo spirito lieve e sorridente, per balletti come Les Biches concepito per Montecarlo o Les Fêtes Galantes oppure per lavori surrealisti come Les Mammelles de Tirésias oppure per monodrammi sulla sensualità (La Voix Humaine) e l’eros (Le Bel Indifférent) femminile. 
La morte di un amico caro, la seconda guerra mondiale ed un pellegrinaggio lo riportarono alla fede cattolica che aveva abbandonato in gioventù. L’opera  Dialogues des Carmélites fu la sua prima grande opera in tre atti e con numerosi personaggi e fu anche uno dei suoi ultimi lavori. E’ un’opera “moderna” ma non “contemporanea” in quanto vicina al teatro musicale tradizionale italiano e non agli stilemi di moda nel 1957. La partitura è rigorosamente tonale e – come disse lo stesso Poulenc - risente di influenze da Debussy, Verdi, Musorgskij, Stravinskij e Monteverdi. I recitativi sembrano improntati a Pelléas et Melisande ed a L’Incoronazione di Poppea, I cori ed i grandi momenti epici echeggiano Don Carlo e Boris Gudonov. Nell’orchestrazioni si avvertono richiami a Stravinskij. L’opera richieste un orchestra smisurata quasi mahleriana (con una tripla dotazione di fiati, due arpe, pianoforte anche una ghigliottina). Gran parte dei cantanti- attori sono donne: da varie tipologie di soprani (anche di coloratura), a mezzosoprani, ad un contralto). Tra le voci maschili, spicca, tra baritoni e bassi, un tenore lirico con un registro alto.
A Milano è stata vista nel 2004 in una produzione diretta da Robert Carsen (con Muti sul podio) al Teatro degli Arcimboldi, dove la Scala era in trasferta durante i lunghi anni del restauro della sala del Piermarini. Si ricorda anche una bella edizione con la regia di Alberto Fassini, le scene e i costumi di Pasquale Grossi, vista al Teatro dell’Opera di Roma nel 1991 con la direzione musicale di Jan Lotham Koening ed un cast stellare; la produzione è stata successivamente ripresa a Cagliari, Catania e Trieste; sempre a Roma si è ascoltata in forma di concerto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2014. A New York, l’opera è stata per anni in cartellone con una celebre regia di John Dexter del 1980. Il successo si deve al fatto che, come detto, l’opera è “moderna ma non contemporanea” sia perché  musica e testo non sono “sacri” ma densi di vis politica.
La produzione al Teatro Comunale di Bologna, è firmata da Olivier Py (regia), Pierre-André Weltz (scene e costume) e Bertrandt Killy (luci). La direzione musicale è affidata a Jèrémie Rhorer. Esiste già un DvD della Erato basato sulle rappresentazioni parigine. E’ una produzione molto efficace sotto il profilo sia drammaturgico sia musicale.
C’è una scena unica di base che, con un minimo di attrezzeria e giochi di luce, si trasforma negli ambienti dei dodici quadri dell’azione; da un palazzo aristocratico, a vari ambienti del convento, ad un bosco, ad una prigione alla Place de la Concorde dove avviene l’esecuzione. I colori di base sono il marrone, il grigio ed il bianco in varie sfumature. I giochi di luce accentuano le varie atmosfere. La recitazione , frutto di un lungo periodo di prove, è perfetta.
Jèrémie Rhorer ha guidato con maestria provetta l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna. L’orchestra ha anche una stagione sinfonica con direttori di livello internazionale; ciò la avvantaggia nell’eseguire una partitura così complessa, i cui interludi sono veri e propri poemi sinfonici.
Di grandissimo livello il cast vocale. Hèléne Guilmette è la protagonista Blanche de la Force, nome emblematico, ed ambiguo, perché si rifugia in convento per sfuggire dalle proprie paure, stringe amicizia con la giovane e sempre lieta Suor Costanza (Sandrine Pieau, un grande soprano di coloratura), scappa però quando il Terrore forza lo scioglimento della comunità, ma (ultima al patibolo) raggiunge le consorelle quando stanno andando alla ghigliottina. Sylvie Brunet e Marie-Antoine Henry sono le due Madri Superiori; la prima, anziana e malata, muore con la paura dell’aldilà poco tempo dopo l’arrivo di Blanche al convent; la seconda è il pilastro che prepara, e guida, la comunità al martirio. Sophie Koch è una fore Madre Maria. Tra il gruppo maschile, spicca Stanislav de Barbeyrac nel  ruolo del fratello che vuole indurre Blanche a scappare con lui all’estero.
L’11 marzo, alla ‘prima’, alcune file ed alcuni palchi (anche di abbonamento) erano vuoti. Un’indicazione del difficile rapporto del Teatro Comunale di Bologna (un tempo uno dei più innovativi d’Italia) con la città che accorre specialmente ai titoli di repertorio. Ci stati  circa dieci minuti di ovazioni.
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