TURANDOT CONTRO TURANDOT
Beckmesser
Il Teatro Lirico di
Cagliari inizia la stagione 2018 ai primi di marzo con una rarità : Turandot
di Ferruccio Busoni. Precede di qualche anno la più nota opera di Puccini.
Ebbe la prima assoluta nel 1917 a Zurigo, dove il noto pianista e compositore
(con ascendenza sia italiana sia tedesca) aveva trovato riparo, durante la
prima guerra mondiale. E’ molto rappresentata all’estero ma poco in Italia. In
tempi recenti, ne ricordo edizioni a Verona, a Sassari ed a Torre del Lago. In
tempi più antichi alla Scala.
Più breve dell’opera di
Puccini (i due atti durano poco più di un’ora) ma volutamente fedele allo
spirito della ‘fiaba teatrale’ di Carlo Gozzi di cui mantiene le maschere della Commedia
dell'Arte, filtrate attraverso il lontano e immaginario Oriente. A differenza
del lavoro di Puccini, post romantico ed anche ispirato al simbolismo di Debussy,
l’impianto drammaturgico e musicale è un misto di serio e di burlesco, di ‘fuor
del tempo’ e di attuale, oscillante tra
forme della tradizione musicale e innesti o tagli di fattura moderna, sovente
modernissima. Un aspetto essenziale è la polemica contro il teatro musicale
ottocentesco, romantico e naturalista. Nella Turandot take polemica è accentuata e sferzante quanto spogliata da
deliberati intenti parodistici o da confessioni amaramente sarcastiche. Che la ‘fiaba
teatrale’ con il suo continuo e variopinto alternarsi di passione e di gioco,
di realtà e di irrealtà, di atmosfera quotidiana e di fantasia esotica, avesse
potuto affascinare Busoni, non è cosa che meravigli conoscendo i suoi gusti e
le sue idee sul teatro, musicale e non; ma che
quella fiaba potesse dar vita a una creazione teatrale originale e
indipendente, è sorprendente .
Per la stesura del libretto Busoni non prese in
considerazione la più famosa delle rielaborazioni romantiche della Turandot,
quella di Schiller a cui si era ispirato anche Carl Maria von Weber per le sue
musiche di scena composte nel 1809. Non a caso fu questa versione di Schiller, nella
traduzione italiana del 1857 di Andrea Maffei, ad attrarre Puccini verso la sua ultima opera incompiuta. Per Busoni
era essenziale la sensazione che si
tratta sempre di un gioco - persino nelle scene che confinano con la tragedia.
Si rivolse al testo originale di Gozzi; ridusse la trama alle sue linee
essenziali abolendo personaggi ed eventi secondari, ma mantenne inalterato il
carattere fiabesco del soggetto, e ne accentuò attraverso situazioni
eminentemente musicali gli elementi propriamente magici e illusionistici,
fantastici e irreali. Soprattutto si giovò della presenza delle maschere della
Commedia dell'Arte, rappresentate dall'eunuco Truffaldino, da Pantalone e da
Tartaglia, non soltanto per conferire vivacità e umorismo alla vicenda, ma anche
per distruggere, ogni impressione realista e sentimentale. Questo ruolo di
mediatore è affidato anzitutto a Pantalone, che impersona lo spirito del
veneziano e che con le sue allusioni alla città natale e le sue locuzioni
dialettali ricorda costantemente l'ambiente reale circostante. Per Pantalone
Busoni arrivò addirittura a inventare una sorta di lingua dialettale tedesca,
grottesca e caricaturale. Così anche gli altri personaggi d'invenzione della
vicenda non hanno modo di uscire dai limiti prefissati, uniformandosi a ciò che
Busoni chiamava ‘la piacevole menzogna della scena’.
Adottando la struttura del Singspiel
mozartiano, con parti parlate, e numeri
cantati in forma chiusa e di pezzi, puramente musicali, Busoni conferisce unità
e varietà formale all’opera ; tenendo distinti i ruoli e i compiti di ogni
specifico mezzo espressivo, può rivestirli dei simboli che a ciascuno di essi
sono propri e nello stesso tempo mantenere, ancor più accentuato,
quell'equilibrio composito caratteristico del dramma fiabesco. Ciò che a Mozart
era riuscito in modo insuperabile, Busoni lo tenta in prospettiva moderna e
con lucido distacco.
E’ un lavoro da non perdere.
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