Movimento 5
Stelle e centrodestra potrebbero convergere a livello programmatico per creare
un Governo per l'unificazione nazionale, dice GIUSEPPE PENNISI 12 marzo 2018 Giuseppe Pennisi
Lapresse
I risultati
elettorali - eloquenti, a riguardo, le cartine viste su tutte le principali
reti televisive - mostrano come le scelte dei votanti siano state fortemente
orientate dalle differenze di sviluppo e di prospettive economiche nelle
macro-regioni italiane: al Sud il Movimento 5 Stelle ha riportato una vittoria
schiacciante, diventando, per numero di seggi, la maggiore forza parlamentare;
al Nord il centrodestra, a trazione leghista, ha vinto alla grande,
raggiungendo, a livello nazionale, la maggiore percentuale di voti, più del
M5S, ma divisa tra più partiti; il centrosinistra del Partito democratico è
stato sconfitto anche nei suoi territori tradizionali, ma, al margine, resta
determinante per la formazione di una maggioranza parlamentare; la sinistra con
forti richiami ideologici è quasi sparita.
Si può dare,
per così dire, "uno sguardo dal ponte" che indichi quella che
potrebbe essere una maggioranza e un Governo di legislatura di cui l'Italia ha
quanto mai esigenza per rinvigorire la pallida crescita economica,
riequilibrare le forti differenze di sviluppo e affrontare anche le imminenti
scadenze europee? A mio avviso, alchimie come "governi di scopo" per
tornare alle urne tra qualche mese, se possibile con una nuova legge
elettorale, servirebbero poco, ove non pochissimo, perché i dati sono
eloquenti. La debacle della sinistra ideologica e la dura sconfitta dello
stesso Pd (che ha sempre mantenuto richiami ideologici pur nel suo processo di
affrancamento dalle radici delle sue componenti iniziali) mostrano che anche
l'Italia è entrata in una fase politica post-ideologica in cui ciò che conta
sono i programmi e i risultati.
Nell'ultimo
quarto di secolo, il Sud e le Isole (ossia il Mezzogiorno) hanno avuto scarsa
rappresentanza, e voce, nei Governi nazionali che si sono succeduti alla guida
del Paese, mentre nella cosiddetta "prima Repubblica" ne ha sempre
avuto una forte, anche se non tale da assicurare, anche a ragione del
malfunzionamento delle autonomie locali e dell'estesa criminalità, ai territori
coinvolti una crescita accelerata e tale da ridurre il divario con il
Centro-Nord. Dal 2008, la situazione si è aggravata: a fronte di una contrazione
del Pil nazionale del 10% certificata dalle statistiche Ocse (nonostante la
ripresina in atto presentata come vanto dai Governi Renzi e Gentiloni), il Pil
pro capite del Mezzogiorno ha perso l'11,3% rispetto al 5,8% nel Nord. Oggi il
Pil pro-capite del Mezzogiorno è inferiore a quello della Slovenia, della
Slovacchia e della Repubblica Ceca.
I dati della
Commissione europea documentano che le regioni di tutta l'Unione europea più
fortemente colpite dalla disoccupazione giovanile sono la Calabria (59%), la
Sicilia (57%) e la Sardegna (56%). Rispetto a un'occupazione femminile che
sfiora al 60% al Nord, nel Sud meno di un terzo delle donne ha un lavoro. La
dotazione in infrastrutture al Nord (secondo i calcoli della Banca europea
degli investimenti) è quattro volte quella del Sud. Allo scarso capitale fisico
si associa un'emorragia di capitale umano: dal 2003 un terzo degli studenti
universitari del Mezzogiorno o ha lasciato la propria università (scontento
della bassa qualità) o è definitivamente emigrato. Uno studio sulla scarsa
produttività in Italia curato da dodici economisti della Banca d'Italia (Bank
of Italy Occasional Paper No. 422) non solo sottolinea il divario di
produttività tra Mezzogiorno e resto del Paese, ma conclude che le normative
degli ultimi anni su mercati dei prodotti e del lavoro offrono qualche
"barlume di speranza", mentre "le misure relative ad altri
fattori determinanti per la produttività non hanno avuto sino ad ora
efficacia".
Uno sguardo
su questi indicatori mostra che ora come non mai è necessario un governo che
abbia come obiettivo principale una nuova "unificazione nazionale"
economica e sociale. Non che le Regioni, le amministrazioni pubbliche e la
società civile del Mezzogiorno non abbiano responsabilità nel divario. Ma come
documentò circa trent'anni il Rapporto Amato, commissionato dalle
commissioni Bilancio del Parlamento, se il "problema Mezzogiorno" non
diventa centro unificante della politica economica e sociale del Paese il
divario porterà - com'è avvenuto - a una spaccatura politica dell'Italia.
Le forze
politiche che hanno vinto le elezioni hanno l'onere di affrontare e tentare di
risolvere questo nodo vitale. Non possono farlo come lo fece la Germania negli
successivi alla caduta del Muro di Berlino sia perché lo stesso Centro-Nord,
pur se ha una produttività significativamente superiore a quella del
Mezzogiorno, non ha livelli pari a quella dei Länder occidentali tedeschi che
permisero forti trasferimenti a quelli orientali, sia perché ci sono maggiori
vincoli europei, sia infine perché la nostra finanza pubblica e il nostro
debito pubblico rendono difficili finanziamenti di rilievo al Sud.
Ci sono,
però, azioni che un Governo "per l'unificazione nazionale" può
intraprendere in cui il M5S e il centrodestra possono convergere: maggior
controllo del territorio e sicurezza, programmi per bloccare l'immigrazione
clandestina (e per espellere quella già in Italia), regole che migliorino la
qualità dell'istruzione a tutti i livelli, ma con particolare accento su quella
delle università, lotta alla criminalità, infrastrutture a elevato rendimento e
tali da incidere positivamente sulla produttività.
Questi
potrebbero essere gli elementi di un programma di legislatura che, tenendo
conto dei vincoli di finanza pubblica, dovrebbe essere affinato tra le due
forze politiche giungendo, come nelle grandi coalizioni tedesche, anche a
disegni di legge concordati e condivisi. È indubbiamente un sentiero difficile
anche perché la Presidenza del Consiglio è contesa tra due leader - problema a
mio avviso risolvibile facendo un "patto della staffetta", come
quello tra Craxi e De Mita.
Le altre
alternative sembrano più complesse, di breve durata e tali da aggravare la
situazione economica e sociale del Paese.
© Riproduzione Riservata.
AddThis Sharing Buttons
Share to FacebookFacebookShare to TwitterTwitterShare to StampaStampaShare to
Google+
Nessun commento:
Posta un commento