WAGNER/
"L'olandese volante" a Santa Cecilia
Il 26 marzo, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha
presentato la prima di tre repliche (sino al 30 marzo) diDer Fliegende
Holländer di Richard Wagner. GIUSEPPE PENNISI 28 marzo 2018 Giuseppe Pennisi
I
protagonisti de L'olandese volante presentato a Roma
Il
26 marzo, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha presentato la prima di tre
repliche (sino al 30 marzo) di Der Fliegende Holländer di Richard
Wagner. Era la prima volta che l’opera veniva eseguita nei concerti
del’Accademia. Der Fliegende Holländer è l’opera di Wagner più
rappresentata in Italia; se ne contano oltre circa 90 allestimenti di cui 20
nel periodo 1877 (‘prima’ italiana di “Lohengrin”) ed il 1949 e circa 70
dopo il 1950, Nell’anno “par excellence” delle celebrazioni verdiane – la
stagione 2000-2001 - se ne videro ed ascoltarono, quasi a mò di legge del
contrappasso, addirittura tre allestimenti in otto dei maggiori teatri lirici
italiani.
Le
ragioni sono molteplici: l’opera è relativamente breve (due ore e venti
di musica), ha un impianto weberiano “a numeri chiusi” (otto principali,
suddivisi in un totale di 22, intermezzi compresi) su una struttura abbastanza
simile a quella dei melodrammi italiani, non richiede una messa in scena
complessa – tanto che sta prendendo forza la prassi di eseguirla, come
desiderato da Wagner, come atto unico i cui cambi scena vengono accompagnati
dagli interludi. Nell’edizione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
c’è un unico intervallo tra il primo atto, da un canto, ed il secondo e terzo,
dall’altro.
Per
il vostro chroniqueur, Holländer ha un significato particolare: è
il primo spettacolo lirico a cui assistette, poco più che bambino, nel 1954,
quando si usava ancora intitolarlo Il Vascello Fantasma. Dirigeva il
mitico Karl Böm, cantavano Leonie Rysanek e Hans Hopf: l’allestimento (di
Camillo Parravicini), in tre atti, era tanto tradizionale (con fiordi e navi di
cartapesta, tempeste ed apoteosi finale) da restare indelebile nella memoria di
un dodicenne. Naturalmente, Holländer è molto di più di quanto non paia
nella vulgata popolare : ha in nuce tutto il Wagner del futuro – dal flusso
orchestrale ininterrotto all’afflato cosmico, all’estraneità dei protagonisti
dal mondo circostante, al percorso davvero satanico, ove non fragorosamente
osceno, per giungere a quell’Erlösung (“Redenzione”) con cui il Maestro
chiuderà l’ultima nota di Parsifal. Il personaggio Holländer è
l’archetipo di Tannhauser, Lohengrin, Siegfried, Franz von Stolzing, Tristan e
Parsifal ossia un po’ di tutti coloro che sono o si sentono “differenti”
rispetto al mondo circostante (visti con le lenti quadrate indossate dal Wagner
iconografico di gran parte dei ritratti).
L’esecuzione
in forma di concerto consente, quasi meglio che in una produzione scenica in un
teatro, di assaporare sia la grandezza del lavoro sia quanto anticipasse future
opere wagneriane. Al termine della rappresentazione, il pubblico è scattato in
ben dieci minuti di ovazioni. All’orecchio del critico, gli applausi vanno
soprattutto al coro guidato da Ciro Visco , semplicemente eccezionale
specialmente nella prima parte del terzo atto quando è diventato il vero fulcro
del dramma. Di grande livello tutti gli interpreti, ma un plauso speciale va a
Matti Salminen che a 73 anni, con 52 anni di carriera alle spalle (ha debuttato
a soli 25 anni come Filippo II nel ‘Don Carlos’ al Teatro Nazionale di
Helsinki) ha impersonato un Daland a tutto tondo, dolcissimo con la figlia
Senta ed imponente con i marinai del proprio vascello. Iain Paterson è il
protagonista, un veterano del ruolo che ha interpretato nei maggiori teatri,
nonché un habitué del Festival di Beyreuth; ha reso bene i tormenti interiori
di Holländer ed il suo anelito di amore e di salvezza sin dalla prima
aria di entrata, nonché nei due duetti con Senta. Quest’ultima era l’americana
Amber Wagner, con un abito da sera che la faceva sembrare ancora più giunonica
di quanto non è,;è un soprano wagneriano che ha già interpretato in ruolo in
teatri importanti come il Metropolitan di New York, ed ha una voce che ha
riempito tutto il vasto auditorio, con un fraseggio perfetto. I due tenori
(Robert Dean Smith e Tuomas Katalaja) hanno reso Erik ed il timoniere con
vigore.
L’orchestra
dell’Accademia, affidata al direttore ospite principale Mikko Franck, è avvezza
a partiture difficili e complesse come quelle wagneriane. Ottima nella
ouverture e negli interludi, dove ha reso tutta la vibrante foga della
partitura, ha avuto alcune incertezze nell’esecuzione (avvertite solo da
orecchi esperti); ad esempio, un abbassamento di vigore dei fiati all’inizio
del primo atto. Possono essere state determinate da vari elementi, anche da una
scarso sinergia con il concertatore. Si è ripresa brillantemente nella seconda
e terza parte.
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